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I Druidi di Atlantide

Che cosa vuole dire la parola "Druido", e quale la sua provenienza? 

Nei testi classici la troviamo solo al plurale: druidai in greco e druidue o druides in latino. Nei testi in antico ir­landese, dnuid è il plurale di dnui..

Il druidismo da sempre è stato un sistema vivo e in costante evoluzione e mutamento, che con il trascorrere del tempo integra in sé influssi provenienti da ciò che gli sta intorno. Non è facile distinguere uno per uno i diversi influssi e non possiamo mai essere sicuri di averli identifi­cati con precisione. Se questo è vero per quanto riguarda il druidismo come complesso di pratiche o credenze, ciò vale anche per la stessa parola "druido". Non tutti gli stu­diosi sono concordi circa la sua etimologia, ma la maggior parte degli esperti contemporanei concordano con gli autori classici nel considerare più probabile un'origine della parola dal termine che significa "quercia" unito alla radice indoeuropea wid, "sapere", consentendo loro di tradurre la parola druido come "colui che ha il sapere del­la quercia", "saggio della quercia". Moltissimi sono gli elementi che corroborano questa etimologia, come pos­siamo notare dalla parola "quercia" nelle quattro lingue sotto indicate:

daur (irlandese, "quercia"- drui "druido"); dervo (gallico, "quercia"); derw (gallese, "quercia"-denvydd "druido"); drus (greco, "quercia")

Anche se a prima vista può sembrare strano che le conoscenze dei druidi fossero limitate a un unico albero, è facile capire che, se questa etimologia è giusta, la quercia sarà stata scelta simbolicamente perchè rappresentasse tutti gli alberi, dal momento che essa era uno dei membri più vecchi, imponenti e riveriti della foresta. Colui che possedeva il sapere della quercia possedeva il sapere di tutti gli alberi. Ulteriore sostegno all'idea che la parola "druido" unisca i concetti di conoscenza e di alberi lo possiamo trovare nel fatto che in irlandese gli alberi sono fid e la conoscenza è fis, mentre in gallese gli alberi sono gwidd e gwiddon è "il conoscitore"; da ciò si può avanzare l'ipotesi che il druido fosse una persona dotata della "cono­scenza degli alberi" o fosse un vero e proprio saggio dei boschi.

Dato che comunemente la parola per indicare questi personaggi è "Druido" spesso è frequente l'interrogativo sul se esistessero anche Druidesse

Un errore che si compie comunemente nel rappresentarsi il druidismo consiste nel pensa­re che esso sia patriarcale. È, sì, vero che quando comin­ciò la rinascita, nel XIX secolo, i gruppi di neo - druidi erano dominati dai maschi, un po' come nel caso della massoneria. Tuttavia, pur essendoci ancor oggi gruppi ancora influenzati dal carattere patriarcale del druidismo della rinascita, è importante rendersi conto che questo non appartiene alla autentica pratica druidica. Sia le narrazioni classiche sia le narrazioni celtiche ci mostrano che accanto ai druidi esistevano delle druidesse, e la leg­ge celtica concedeva la parità alle donne, permettendo lo­ro di scegliersi il marito, di divorziare, di possedere ed ereditare proprietà, di combattere e diventare capi militari, come ben sappiamo dalla storia di Boadicea.

Cercare di capire chi erano i druidi porta ad assistere a una battaglia tra due ideologie, due modi di concepire la vita: quello materialista e quello spirituale. L'in­terpretazione della storia dipenderà dall'ideologia o dalla filosofia cui daremo il primo posto, e finché non avremo ben chiaro come il modo di porsi influenzi l'interpretazio­ne del passato lo studio dei druidi sarà estrema­mente confuso.

La maggior parte dei libri sui druidi hanno messo insie­me materiale storico fattuale e materiale esoterico o speculativo in un modo che sovente è poco chiaro e tale da giustificare l'accusa rivolta ai loro autori dalle autorità ac­cademiche di mescolare fantasia e fatti. Un numero minore di libri si sono limitati al materiale fattuale disponibile e si sono presentati come studi storici oggettivi sui druidi. Ma commetteremmo un grosso errore se pensassimo che questi testi "oggettivi" presentino le cose in modo reale, dal momento che la presa di posizione ideologica dell'autore che a essi soggiace influenza intimamente il modo in cui egli presenterà e interpreterà i suoi dati. 

Per quel che riguarda il druidismo i dati sono particolarmen­te frammentari. Sono sufficienti per formarci un'immagine di chi fossero e di che cosa facessero e in che cosa credessero, ma si tratta di un quadro cosi scarno che siamo costretti a basarci in gran parte su deduzioni, e in questo processo di interpretazione dei dati saremo guidati dal nostro modo di porci filosoficamente nei confronti della vita: la nostra concezione di chi sia realmente l'uomo e perché egli sia al mondo.

Chi erano i druidi?

Da dove venivano i druidi? Alcuni dicono da Occidente, altri da Oriente. Alcuni vogliono che essi ab­biano avuto origine in Atlantide, a Occidente, altri ipotizzano che i druidi quali noi li cono­sciamo dai testi classici siano il prodotto della fusione di una cultura neolitica locale con i Celti sopraggiunti da Oriente.

La storia esoterica delle radici del druidismo è bella e affascinante. I maghi di Atlantide avevano svelato i miste­ri della natura ed agivano in armonia con la sua potenza. Ma vi furono alcuni che usarono questa stessa potenza per i propri fini, allo scopo di dominare e manipolare gli altri. "La Guerra di Atlantide fu la guerra della magia bianca contro quella nera, tra coloro che vedevano nella Natura la grande Madre Divina degli uomini e usavano i suoi doni per il benessere del genere umano, e quelli che vedevano nella Natura la Tentatrice Satanica, che faceva offerte di oscuro dominio e crude­le potenza" (Eleanor Merry). 

Quando la catastrofe si abbatté su Atlantide, i signori oscuri si inabissarono mentre cercavano di tenersi stretti al loro potere temporale. I saggi bianchi, invece, dotati di conoscenze superiori e di una più profonda fede nella supremazia della ricchezza spirituale su quella ma­teriale, si misero in viaggio sia verso Oriente sia verso Occidente. A Ovest, essi sbarcarono sulle coste americane, a Est sulle spiagge irlandesi e sulle coste occidentali della Gran Bretagna.

Se accettiamo questa teoria sulle origini dei primi druidi, saremo in grado di renderci conto più agevolmente del motivo per cui esistono così tante impressionanti somiglianze tra le dottrine e le pratiche degli Indiani d'America e quelle dei druidi.

Nelle fonti letterarie antiche non esistono testimonian­ze che accennino alla provenienza da Atlantide dei druidi. Tuttavia, nella tradizione celtica trovano posto inondazio­ni catastrofiche, e nel Libro Nero di Camarthe, per esempio, una fanciulla di nome Mererid porta allo scoperto "la fontana di Venere" dopo essere stata stuprata da Seithen­nin. Dopodiché l'acqua della fonte ricoprì la Terra.

In Gran Bretagna si narra la storia di Ys inghiottita dal­le acque. La malvagia figlia del re praticava la magia nera, e impossessatasi della chiave che il padre teneva al collo e che apriva la diga che proteggeva Ys dal mare, riuscì a far sprofondare il regno e se stessa allo stesso tempo.

Ambedue questi racconti, come pure alcune antiche storie del Graal, parlano degli stessi fatti accaduti ad Atlantide: una violenza fatta alla natura il cui esito è lo scaturire delle acque che inondano le terre. Lo stupro della vergine Mererid, per esempio, può essere visto come un'immagine mitica della violenza fatta alla natura dai maghi di Atlantide dediti alla magia nera. Il fatto che la violenza scateni al­lagamenti incontrollabili ben si adatta dal punto di vista simbolico, perché ciò che sfrutta le terre è la consapevolezza analitica maschile non addomesticata dall'unione con il femminile, ed è la potenza vendicatrice del femminile, simboleggiata dalle acque, che è costretta a sommergere l'insensibile maschile. Ed è strano osservare come oggi la storia sembri sul punto di ripetersi, con le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari che innalzano il livello dei mari in risposta alla nostra violenza sulla biosfera.

Nel Lebor Gabala Érenn (Libro della conquista dell' lrlan­da) si parla del diluvio biblico, ma Caitlín Matthews ha avanzato l'ipotesi che per questa e per altre storie "sia forse a qualche vaga reminiscenza di Atlantide e della fan­ciulla a guardia della fonte che si ispirarono alcune delle storie nel loro aspetto primitivo" Quel che è certo è che la tradizione celtica parla di sei razze che sono giunte in Irlanda dall' "al di là della nona onda" (l'estremo confine delle terre al di là del quale si stendono i mari neutrali) La Compagnia di Cessair, la Compagnia di Partholon, il Popo­lo di Nemed, i Fir Bolg, i Tuatha de Danaan e i Milesii. Il Libro della conquista dell'lrlanda fa una cronaca delle in­vasioni di queste sei razze, cercando di integrare memorie dei bardi e tradizione biblica, facendo di Cessair la nipote di Noè. Ma sono i Tuatha de Danaan, i Figli di Danu o Dana, la razza divina che ha preso dimora nelle vuote colline del sidhe al sopraggiungere dei Milesii, quelli che alcuni esoteristi identificano negli stessi Atlantidi.

Coloro che sostengono l'origine del druidismo da Atlan­tide avanzano l'ipotesi che, mentre alcuni degli emigrati dalle Terre Lucentie si sarebbero stabiliti in Irlanda e Gran Bretagna, altri avrebbero proseguito alla volta del­l'Asia e dell'India, alcuni attraverso un percorso più set­tentrionale, altri attraverso un percorso più meridionale. In seguito, i discendenti di questi emigrati sarebbero rifluiti da est a ovest, ed è, secondo loro, questa seconda migrazione quella che venne scelta da alcuni storici essoterici per concentrarvi la loro attenzione riguardo alle origini del druidismo.

Lasciando da parte la teoria delle origini da Atlantide, la cui accettazione è a discrezione di ciascuno, possiamo ora rivolgerci alle teorie più convenzionali sull'origine dei druidi, che sono basate più su fonti di informazione storiche essoteriche che non su fonti esoteriche o chiaroveg­genti. Dell'esistenza dei druidi siamo a conoscenza me­diante le opere degli autori classici. La prima menzione dei druidi si ebbe in due opere distinte risalenti rispettiva­mente al 200 a.C. e al 400 a.C. circa, che sfortunatamente sono andate perdute. 

Nel III secolo d.C., Diogene Laerzio, nella prefazione delle sue Vite dei Filosofi, menziona il fat­to che i druidi erano stati descritti in un libro del greco Sozione di Alessandria e in un trattato sulla magia attri­buito ad Aristotele. Gli storici ritengono plausibile l'esistenza del libro di Sozione, scritto nel II secolo a.C., men­tre considerano apocrifa l'opera di Aristotele del IV secolo a.C. Se si ammette una concezione mitica o poetica delle origini dei druidi, non stona né il non poter essere sicuri se la più antica registrazione di questa tradizione sia realmente esistita né il fatto che la seconda attestazione in or­dine di tempo esista sì, ma non in una biblioteca bensì nell'intangibile mondo in cui viene registrato solo il ricor­do della sua esistenza, più di cinquecento anni dopo che essa era stata messa per iscritto. In questo modo, la no­stra conoscenza del druidismo emerge dal regno dell'i­gnoto facendosi strada un po' alla volta più che manife­starsi all'improvviso in noi in un flusso di consapevolezza.

Prime attestazioni

La più antica attestazione dei druidi che non sia andata perduta ci è fornita da Giulio Cesare nel sesto libro del De bello gallico, scritto intorno al 52 a.C. Successivamen­te troviamo che parlano dei druidi numerosi autori clas­sici tra cui, Cicerone, Strabone, Diodoro Siculo, Lucano, Plinio e Tacito , fino al 385 d.C., quando Ausonio scrisse per i professori di Bordeaux una raccolta di odi, tra le quali vi è la storia di un vecchio di nome Febicio, della stirpe bretone dei druidi, che riuscì a ottenere una cattedra a Bordeaux grazie all'intervento di suo fi­glio. L'opera degli autori classici getta un po' di luce anche se in modo incompleto su ciò che facevano e in cui credevano i druidi.

Ma le maggiori fonti di informazione scritte che si possiedono sui druidi vengono dall'Irlanda, dal Galles e dalla Scozia, anche se esse sono cronologicamente molto più tarde delle fon­ti classiche, e quindi presentano già di per sé problemi particolari al momento di interpretarle. I testi irlandesi partono dall' VIII secolo d.C., quelli gallesi vennero nel complesso messi per iscritto solo in epoca medievale, e i materiali scozzesi rimasero allo stadio di tradizioni orali fin verso la fine del XIX secolo, quando gli studiosi di tra­dizioni popolari cominciarono a registrare per iscritto i tesori che essi contenevano.

I testi irlandesi sono considerati "un frammento straordi­nariamente arcaico di letteratura europea", che rispec­chiano "un mondo più antico di quello di qualunque altra letteratura popolare dell'Europa occidentale". Essi com­prendono perlopiù racconti di eroi e compendi di codici di leggi, e ancorché trascritti da ecclesiastici cristiani, si può osservare come essi riproducano un quadro affidabi­le di quel mondo druidico precristiano d'Irlanda che esisteva prima dell'introduzione del cristianesimo nel V secolo d.C..

I testi gallesi, come quelli irlandesi, sono la versione scritta di materiali originariamente tramandati per via orale. Messo per iscritto molto più tardi dei componimen­ti irlandesi, il Corpas di testi gallesi comprende il Libro Bianco di Rhydderc1z (Gwvn Rhydderc), la cui stesura risale al XIV secolo circa e il Libro Rosso di Hergest (Llyfr Coch Hergest) del XV secolo circa. 

È dal Libro Rosso che sono tratte le ben note fiabe del Mabinogion, e una parte delle fiabe di questa raccolta si trovano anche nel Libro Bianco: il che prova che esse vennero messe per iscritto per la prima volta tra il 1100 e il 1250. Un altro importan­te manoscritto gallese, che racchiude molte delle nostre conoscenze attuali sulla sapienza druidica, è il Libro di Taliesin (Hanes Taliesin). Esso risale a un'epoca ancora più recente, essendo la copia, redatta nel XVII secolo, di un manoscritto del XVI. Un'ulteriore fonte di conoscenze sui druidi e sulla loro opera ci può venire dalle Trindi Cal­lesi, che sono il risultato dell'unione di molte fonti mano­scritte. Esse ci permettono di vedere da vicino qual era il complesso percorso dell'addestramento dei bardi, e dalla loro forma nitida possiamo intravedere la profondità del pensiero bardico e druidico.

Il materiale scozzese, si potrebbe pensare, non dovreb­be avere una grande affidabilità come fonte di informa­zione sui druidi, dal momento che è stato messo per iscritto solo nel XIX e nel XX secolo. Tuttavia, questo ma­teriale, che comprende la cospicua raccolta fatta da Alexander Carmichael e pubblicata in sei volumi tra il 1900 e il 1961 con il titolo Carmina Gadelica, non fa che convalidare la visione del nostro retaggio precristiano quale era stata ricavata dalle fonti precedenti, classiche, irlandesi e gallesi. Esso rappresenta anche la testimonian­za vivente della capacità straordinaria che le tradizioni culturali e spirituali hanno di sopravvivere per migliaia di anni venendo semplicemente trasmesse da bocca a orec­chio. È vero che tutte queste fonti di informazione di cui disponiamo sono state influenzate, con il passar del tem­po, dal cristianesimo e da influssi continentali, quando i bardi gallesi e cornovagliesi fuggirono in Bretagna al mo­mento delle invasioni sassoni, ritornando con canzoni e storie modificate. Ma nonostante questi influssi, la forma e la sostanza originarie precristiane di questi materiali è chiaramente individuabile, e si può affermare che il cor­pus di materiale di cui si dispone per comprendere il drui­dismo è veramente enorme. A tutt'oggi i tesori che esso racchiude non sono ancora stati pienamente indagati e valorizzati.

Dati archeologici

Le nostre conoscenze riguardo ai druidi possono essere incrementate, ancorché non di molto, attraverso lo studio di iscrizioni, incisioni e sculture. Il materiale epigrafico disponibile consiste in circa 360 iscrizioni ogamiche, ritrovate principalmente su pietre tombali nel Sudovest dell'Irlanda e in Galles, che risalgono al V e VI secolo d.C., e in circa 374 iscrizioni, ritrovate soprat­tutto in Gallia, con dediche a dei o dee, anche se esse ri­salgono quasi esclusivamente all'epoca in cui la Gran Bre­tagna e la Gallia appartenevano all'Impero romano. Il materiale iconografico è costituito da sculture e incisioni, sia in legno sia in pietra, raffiguranti persone e animali e risalenti al VI secolo a.C. Questi due tipi di testimonianze, quella epigrafica e quella iconografica, diventano illumi­nanti se poste nel contesto che ci è fornito dai dati testua­li corroborati dalle scoperte nel campo dell'archeologia,

degli studi linguistici e della mitologia comparata. Pas­sando a considerare queste testimonianze, ci addentria­mo in un campo di studio ricco ed entusiasmante, che nell'ultimo ventennio ci ha consentito di formarci un qua­dro del druidismo che fa pensare a una continuità di tra­dizione che dall'era neolitica si è protratta per tutto il pe­riodo celtico.

Comunità agricole neolitiche risalenti al 4500 a.C. sono state individuate nel Sud della Gran Bretagna e in Irlan­da, e a nord, fino alle Orcadi, al 3500 a.C. Furono queste comunità "dell'età della pietra" che costruirono i monu­menti megalitici ed eressero i loro numerosi monumenti di pietra nel corso di circa duemilacinquecento anni, tra il 3500 e il 1000 a.C.

Quanti tra noi si erano fatti l'idea che questi nostri an­tenati neolitici fossero dei "rozzi selvaggi" sono stati co­stretti a rivedere radicalmente il loro modo di pensare alla luce delle scoperte, di cui fu pioniere, Sir Norman Lockyer agli albori del XX secolo, ma che hanno avuto un pieno sviluppo solo negli ultimi vent'anni grazie alla mi­nuziosa opera di analisi computerizzata dei professori Thom, Hawkins e Atkinson. Quest'opera ha dimostrato che i circoli di pietre e altri monumenti della popolazione neolitica furono eretti servendosi di conoscenze matema­tiche sorprendentemente sofisticate, il che dimostra che i nostri antenati illuminati possedevano una conoscenza "pitagorica" della matematica più di mille anni prima della nascita di Pitagora.

Resti megalitici sotto forma di tumuli sepolcrali, pietre erette e circoli di pietre sono stati ritrovati in ogni parte del mondo: in Tibet, Cina, Corea e Giappone, nelle isole del Pacifico, Malesia e Borneo, in Madagascar, India, Pakistan ed Etiopia, nel Medio e nel Vicino Oriente, in Africa e nelle Americhe.

Quello che è certo, comunque, è che i monumenti megalitici dell'Europa occidentale sono tra i più antichi del mondo. La datazione con il carbonio 14 situa la maggior parte di essi tra il V e il II millennio a.C. E dal momento che essi sono più antichi dei monumenti trovati in Africa o in Asia, nel Vicino o nel Medio Oriente, non possono es­sersi "propagati" a partire dal Sud o dall'Est.

Chi erano i Celti?

Le origini dei Celti sono altrettanto difficili da determina­re e provocano tante discordie accademiche quanto le ori­gini dei druidi. La conclu­sione di molti storici è che termine "Celti" non sia il nome proprio di una popo­lazione ... ma sia stato attribuito dai geografi classici a una grande varietà di tribù barbare, anche se non si nega che sia esistito un gruppo linguistico che a partire dal XIX secolo è stato chiamato "celtico", né che sia possibile effettuare significative osservazioni archeo­logiche riguardo alla cultura materiale e al modo di vita nei singoli momenti e luoghi. Ma que­ste percezioni diverse e legittime non andrebbero confuse mescolandole tutte in uno stesso insieme etichettato co­me "celtico".

Consapevoli di queste premesse, probabilmente gli antenati dei Celti erano i popoli della cultura dei Vasi Campaniformi (Beaker-folk), originari dell'Europa centrale o dell'Iberia nel III millennio a.C., e quelli della cultura delle Asce da Combattimento che quasi certamente mi­grarono dalle steppe della Russia meridionale più o meno nello stesso periodo. La fusione di queste popolazioni nelI'Europa centrale intorno al II millennio a.C. diede origi­ne alle culture successive note come culture di Unjetice, dei Tumuli e dei Campi di Urne. Alcuni studiosi sostengo­no che sul finire del II millennio a.C. la cultura dei Campi di Urne può essere considerata "protoceltica". A partire dal 700 a.C. circa, la cultura di alcuni dei discendenti dei popoli dei Campi di Urne è stata denominata cultura di Hallstatt, che può essere considerata con una certa sicurezza celtica in opposizione a quella protoceltica. La cul­tura di Hallstatt può essere seguita solo per 200 anni, dopodiché essa lasciò il posto alla cultura di "La Tène" che si protrasse fino all'arrivo dei Romani.

Ma se consideriamo antenati dei Celti anche i popoli delle culture dei Vasi Campaniformi e delle Asce da Com­battimento, e li chiamiamo, come fanno alcuni studiosi, "proto-Celti", allora possiamo far risalire l'arrivo dei proto-Celti in Gran Bretagna già intorno al 2000 a.C., dal mo­mento che fin da tale epoca sono stati identificati siti di cultura dei Vasi Campaniformi nelle Isole Britanniche.

Il professor Renfrew si schiera contro questa teoria, so­stenendo che, anche se essa viene preferita dagli archeo­logi del continente, la maggior parte degli archeologi (britannici) oggi non pensa in termini di immigrazione, in qualsivoglia misura, di portatori di vasi campaniformi. Al contrario Renfrew, in un'opera recente che descrive gli studi di linguistica storica, preferisce una teoria sulle ori­gini indoeuropee che era già in voga nel XIX secolo ma che ora egli ripresenta con le opportune modifiche e mes­se a punto. Le sue argomentazioni sono complesse e raffi­nate, e andrebbero studiate sull'originale. Ma sono convincenti. Egli non si rifà a un modello migrazionista, pur avanzando l'ipotesi che, grosso modo prima del 6000 a.C., nella parte orientale dell'Anatolia si trovassero popolazio­ni parlanti lingue progenitrici di tutte le lingue indoeuro­pee, e che intorno al 4000 a.C. i più antichi parlanti lingue indoeuropee avrebbero raggiunto l'Europa e forse anche la Gran Bretagna.

I Celti vengono considerati discendenti da questi In­doeuropei. A partire dal 6000 a.C. essi si erano diffusi dalla loro sede originaria sia in direzione est sia in direzione ovest, raggiungendo a Occidente la Gran Bretagna e l'Ir­landa, e a Oriente l'India. Gli studi di mitologia comparata hanno evidenziato che la letteratura sanscrita ci tramanda antichi riti indiani assai simili a quelli che si ritrovano nell'Irlanda celtica, e che si possono istituire impressionanti paralleli tra alcune divinità indù e gli dei celtici.

Gli storici erano soliti sostenere che i Celti erano giunti nelle Isole Britanniche a ondate successive a partire dal 500 a.C. circa, e che quindi i druidi, essendo Celti, non po­tevano avere costruito i circoli di pietre. Gli appassionati di antichità della rinascita druidica del XVIII secolo e i moderni Ordini druidici che sostenevano che i druidi pra­ticavano il loro culto in località come Stonehenge veniva­no scherniti dagli accademici convinti che invece gli ulti­mi circoli di pietre costruiti fossero anteriori di oltre cinquecento anni all'arrivo dei Celti. Tuttavia, i dati che sono oggi in nostro possesso mostrano che i druidi della rinascita e quelli moderni avevano ragione riguardo ai lo­ro predecessori, sia che si pensi alla comparsa in Gran Bretagna dei proto-Celti intorno al 2000 a.C., con la cultu­ra dei Vasi Campaniformi, sia che si pensi a un loro arrivo in epoche ancora anteriori, con gli Indocuropci, come ipotizza Colin Renfrew.

Ma approfondire l'argomento oltre l'analisi storica delle origini del drui­dismo è impresa che va al di là di ogni limite, poichè ogni aspetto della sua storia più antica dà adito a controversie.

Quanto tempo occorreva per diventare Druido

Non possiamo essere certi del tempo esatto occorrente, ma Cesare accenna al fatto che occorrevano vent'anni per diventare Druidi, ma poteva anche trat­tarsi di una cifra convenzionale, per indicare semplice­mente un lungo periodo di tempo, e che in realtà doveva­no occorrere diciannove anni, dal momento che i druidi quasi sicuramente facevano riferimento al Ciclo di Me­ton, un sistema di computo del tempo basato sul ciclo lu­nare di diciannove anni. Sembra comunque che, qualun­que fosse la lunghezza complessiva dell'addestramento, essa dovesse comprendere anche il periodo impiegato per raggiungere i gradi anteriori di bardo e ovate.

Se il bardo era il poeta, il conservatore della tradizione e l'intrattenitore, mentre l'ovate era il medico, il detective, l'indovino e il veggente, che cos'era il druido? Per riassumere le sue fun­zioni, si può dire che fungeva da consigliere di re e gover­nanti, da giudice, da maestro e da autorità in fatto di cul­to e cerimonie. Il quadro che ne risulta è quello di una saggezza matura, di una posizione ufficiale privilegiata, e di un ruolo che comporta prendere decisioni, dirigere e impartire conoscenza. Tendiamo a pensare al druido co­me a una specie di sacerdote, ma questo non è provato dal materiale disponibile. I testi classici non li descrivono mai come sacerdoti, bensì come filosofi. A prima vista questo sembra originare qualche confusione, dal momen­to che sappiamo che essi presiedevano cerimonie, ma se ci rendiamo conto che il druidismo era una religione na­turale, terrestre o solare, in contrapposizione a una reli­gione rivelata, come il cristianesimo o l'islamismo, possiamo concludere che essi non fungevano da mediatori tra Dio e l'uomo, bensì da registi dei rituali, da sciamani che guida­no e controllano i riti.

I Druidi in quanto giudici
"I druidi sono considerati i più giusti tra gli uomini e per­tanto a loro viene affidato il compito di giudicare le contro­versie private e pubbliche. Un tempo dovevano anche funge­re da giudici arbitrali in caso di guerra e avevano la facoltà di fermare i combattenti nell'attimo in cui costoro si accinge­vano ad allinearsi per la battaglia, ma, soprattutto, si de­mandava loro il giudizio nei processi per omicidio". - Strabone, Geographia -
"Sono chiamati a decidere in quasi tutte le controversie pubbliche e private e se viene commesso qualche delitto, se awiene qualche uccisione, se sorge una lite per un'ere­dità o per la delimitazione di terreni, sono i druidi a deci­dere e a stabilire i risarcimenti e le pene. E se qualcuno, sia che si tratti di un cittadino privato o di un intero popolo, non si attiene al loro giudizio, lo bandiscono dalle funzioni del culto, il che è la pena più grave, presso i Galli".
- Cesare, De belto gallico -

È sempre stato tramandato all'interno dell'Ordine che i druidi non fossero responsabili dei sacrifici umani men­zionati dagli autori classici. Se prendiamo in considera­zione i racconti sui famosi uomini di vimini (gigantesche sagome di legno in forma umana al cui interno criminali e altri sarebbero stati dati alle fiamme) vedremo che uno studio accurato di quanto ci dicono gli autori classici per­metterà di stabilire se siano o meno affermazioni basate su fatti reali.

Nel brano di Cesare sopra citato, egli osserva che la pe­na più severa comminata dai druidi era l'ostracismo. In una società altamente strutturata, la posizione, l'immagi­ne, la condizione e la reputazione erano di vitale impor­tanza per l'individuo. In molte società perdere la faccia era, e ancor oggi è, la punizione più temibile. La ferita inferta dal­l' ostracismo era una ferita dell'anima, non del corpo. Pe­netrava nel cuore stesso di quello che ciascuno riteneva di essere al mondo. Cesare non afferma che la punizione più grave per i druidi fosse l'essere sacrificati o bruciati vivi, asserisce invece che la loro punizione più severa consiste­va nell'escludere la persona trovata colpevole dalla parte­cipazione ai sacrifici (in altre parole, le cerimonie religio­se, che probabilmente comportavano sacrifici di animali). Quando si era banditi dalla partecipazione all'attività spirituale e sociale centrale per la tribù, la punizione era vera­mente severa, si era dei reietti, e probabilmente si diventava anche capri espiatori, per non parlare dell'intima tortura del proprio io, della vergogna e della derisione della tribù. Un simile ostracismo era una punizione spa­ventosa, inconcepibile per il modo di pensare individuali­sta di oggigiorno.

Lo spiega Cesare: "Quelli che sono a questo modo banditi sono considerati empi e scellerati; tutti si allontanano da loro, evitano di incontrarli e di par­lare con essi, per non essere contaminati dal loro contat­to".

L'Irlanda non venne mai conquistata dai Romani ma anche in questo paese troviamo ulteriore materiale a sostegno dell'idea che la punizione più severa dei druidi fosse l'ostracismo, se studiamo le antiche leggi d' Irlanda, che risalgono direttamente alla legge druidica. La puni­zione più pesante era il bando: per esempio, coloro che avevano commesso incesto od omicidio venivano gettati in mare in una rudimentale imbarcazione di vimini con null'altro che un coltello per potere badare a se stessi. Se ne uscivano vivi, avevano salva la vita: avevano affrontato il giudizio degli elementi e il tormento di essere dei reietti e avevano rischiato la morte, in tal modo si consideravano sufficientemente purificati. Certo, essi dovevano conosce­re molto bene le maree, perché nessuno doveva augurarsi di vedere un assassino rigettato sulla spiaggia nel giro di un'ora e con un coltello in mano. I cinici direbbero che si trattava di un semplice scaricabarile, con ogni comunità che sospingeva i propri criminali verso quella più vicina in direzione della corrente. Chi conosce il mare e i suoi pericoli saprà che molti dovevano senz'altro perire se messi in acqua in determinati luoghi e in determinati momenti.

Se la punizione più severa comminata dai druidi era il bando o l'esilio, sia in senso letterale, con il colpevole gettato in mare, sia in senso sociale e psicologico come nel caso di chi era bandito dagli atti di culto, perché troviamo i druidi associati a sacrifici umani? Torniamo a leggere Cesare e il suo De bello gallico:
"I Galli sono molto dediti alle pratiche religiose, perciò quelli che sono gravemente ammalati o si trovano in guer­ra o in pericolo, fanno sacrifici umani o fanno voto di im­molarne e si servono dei druidi come ministri di questi sa­crifici ... certe popolazioni costruiscono statue enormi, fatte di vimini intrecciati, che riempiono di uomini vivi e incendiano, facendoli morire tra le fiamme."

In entrambi i casi sono i Galli, e non i druidi che immo­lano o fanno voto di immolare. Nella frase in cui si parla delle statue di vimini non si parla affatto dei druidi. Nella frase precedente si sostiene che i Galli impiegavano i druidi come ministri di questi sacrifici. Fino all'abolizio­ne della pena di morte, in Gran Bretagna si sono impiega­ti sacerdoti cristiani come ministri quando i condannati venivano impiccati. Ed ancor oggi vediamo le forze arma­te impiegare ministri del culto cristiani quando si ingag­gia una battaglia e a migliaia i soldati vengono sacrificati al Dio della Guerra. I druidi erano i saggi della società barbarica dei Celti, e la religione dei Celti era an­che la loro religione, con tutti i suoi lati crudeli.

I Druidi in quanto maestri
«Presso di loro si raccoglie per istruirsi un gran numero di giovani ed essi sono tenuti in grande onore... Attirati da cosi grandi privilegi (l'esenzione dal servizio militare e dal­la tassazione di guerra) molti giovani di loro volontà si re­cano da loro per esserne discepoli e molti sono mandati dai genitori e dai parenti. Da loro, a quanto pare, debbono imparare a memoria un gran numero di versi; per molti il tempo del noviziato dura vent'anni. Non ritengono lecito scrivere i loro sacri precetti; invece per gli altri affari, sia pubblici sia privati, usano l'alfabeto greco."
Cesare, De bello gallico

A giudicare tanto dalle fonti classiche che da quelle irlan­desi, appare chiaro che una delle principali funzioni del druido era quella di maestro. Ciò comprendeva l'insegna­mento sia a un livello esoterico sia a un livello essoterico. Per aiutarci a farci un'immagine di come doveva vivere e operare un druido, Caitlín Matthews propone l'immagine del rabbino ebreo. Egli, o essa, era «un uomo o una don­na sapiente il cui consiglio era ricercato per tutte le que­stioni della vita di ogni giorno, qualcuno che magari eser­citava un'arte, che era sposato e aveva una famiglia, che radunava la gente per le celebrazioni comunitarie e la cui parola era legge. 

Proprio come i rabbini hassidici che pra­ticavano la Kabbalah ed erano conosciuti come veggenti e operatori di miracoli, anche i druidi erano persone dalle capacità eccezionali. Dai vari resoconti celtici troviamo che un druido aveva di solito uno o più studenti addetti al suo seguito o alla sua casa. Allo stesso modo, per tornare al nostro parallelo ebraico, un rabbino gestiva spesso una scuola talmudica per un numero di allievi che poteva es­sere sia di poche unità sia piuttosto elevato. Analogamen­te gli allievi druidi imparavano dai loro maestri».

Mentre alcuni druidi potevano avere anche solo due o tre discepoli che vivevano con loro, in cambio, presumi­bilmente, di un aiuto nella gestione della casa, altri riuni­vano intorno a sé un numero di allievi sufficiente per co­stituire un vero e proprio collegio druidico. Nell'Ulster, per esempio, si tramanda che Cathbad, un druido del re Conchobar, era circondato da un centinaio di discepoli.

Che cosa dovevano imparare? Proprio come, in epoche successive, gli ordini monastici divennero centri di cultu­ra, si facevano carico di tutta la gamma dell'istruzione, dall'insegnamento della cultura generale a quello della filosofia, dall'insegna­mento del diritto a quello della magia, dall'insegnamento delle arti di guaritore all'insegnamento dell'ordine esatto delle cerimonie. Sappiamo anche che i druidi fungevano da tutori dei figli dei re e dei nobili, e che gli allievi veniva­no mandati da un maestro druido a un altro per apprende­re le diverse arti. 

Uno degli argomenti a sostegno dell'ipo­tesi che il druidismo abbia avuto origine in Gran Bretagna con la fusione della tradizione celtica e del clero preesi­stente della cultura megalitica sta nel fatto che gli allievi venivano mandati dalla Gallia in Gran Bretagna per essere addestrati nel druidismo. Essi venivano inviati all'autenti­ca sorgente della cultura druidica, per immergersi in tale fonte. Cesare fornisce un sostegno a questo modo di vedere quando afferma: "È opinione comune che l'organizzazio­ne dei druidi sia originaria della Britannia e di li sia passa­ta in Gallia e ora chi vuole approfondirne lo studio, si reca perlopiù in tale isola, allo scopo di apprendere".

È allettante pensare che il sistema educativo anglosas­sone, come pure il sistema inquirente e giudiziario, ab­biano le loro radici nel druidismo. Un giorno probabil­mente vedremo la statua di un druido eretta fuori dalla sede di Scotland Yard o dal tribunale sullo Strand, op­pure un murale nell'anticamera del ministero della Pub­blica istruzione con la raffigurazione di un druido che sta insegnando all'interno di un Bosco sacro.

I Druidi in quanto re e consiglieri dei Re.

È provato che alcuni re furono anche druidi. Il druido Ai­lill Aulomon fu re del Munster nel I secolo d.C., e si tra­manda che tre re druidi regnavano sull' "isola di Thule". Thule era il nome con cui spesso ci si riferiva all'Islanda, e abbiamo così la suggestiva possibilità che l'Islanda fosse un tempo un regno retto da druidi, molto prima della conquista vichinga. La storia ufficiale dell'Islanda afferma che i primi coloni normanni, quando vi posero piede nell'874 d.C., vi trovarono e portarono via con sé alcuni isolati eremiti irlandesi, che vi erano arrivati passando per le isole FaerOer. Ma una recente indagine sui gruppi sanguigni islandesi mostra che essi hanno una maggior somiglianza con quelli dell'Irlanda che con quelli della Scandinavia. 

Questo ci porta a concordare con quegli sto­rici che sostengono che l'Islanda fosse di fatto già stata colonizzata dai Celti assai prima che arrivassero i Vichin­ghi. Questa rivendicazione si rafforza quando osserviamo che l'unica fonte di informazione manoscritta in nostro possesso riguardo alla cosmologia pagana nordica, l' Ed­da, fu scritta in Islanda e non in Scandinavia. Il mano­scritto presenta notevoli somiglianze con gli antichi ma­noscritti irlandesi dello stesso periodo, ed è forte la tentazione di immaginarsi i Vichinghi d'Islanda assistiti nel registrare la loro cosmologia da druidi irlandesi o da loro discendenti..

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