Asikli Hoyuk, a circa trenta chilometri da Aksaray, è un sito archeologico al centro della Cappadocia; poco conosciuto, non pare destare particolare interesse e non è nemmeno inserito come meta preminente dagli operatori turistici.
Eppure, all'alba del Neolitico, fu scelto per crearvi un importante insediamento, immerso com’era in un paesaggio vulcanico dominato da quelle che un tempo erano valli fluviali, poi trasformatesi in depositi di tufo: una zona fertile e ricca di ossidiana, due buone ragioni per convincere i nostri antenati a fermarsi, cambiando radicalmente le precedenti abitudini.
Eppure, all'alba del Neolitico, fu scelto per crearvi un importante insediamento, immerso com’era in un paesaggio vulcanico dominato da quelle che un tempo erano valli fluviali, poi trasformatesi in depositi di tufo: una zona fertile e ricca di ossidiana, due buone ragioni per convincere i nostri antenati a fermarsi, cambiando radicalmente le precedenti abitudini.
Il sito, tuttora oggetto di studio, fu individuato nel 1964 dall’archeologo Ian A. Todd, che rinvenne in strati superficiali migliaia di artefatti realizzati con l’ossidiana, segno della presenza di una notevole industria, il cui prodotto era destinato per lo più al commercio in un mercato che deve considerarsi assai vasto, abbracciando tutto il Vicino Oriente.
Una campagna di scavi sistematici iniziò solamente sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso sotto la guida di Ufuk Esin, in considerazione dell’urgenza di procedere alla mappatura completa dell’insediamento, poiché era imminente la realizzazione di una diga sul lago Mamasin, le cui acque avrebbero sommerso parzialmente il sito. Da allora le campagne di scavo si sono susseguite quasi senza sosta, anche se oggi non sussiste più alcun pericolo di sommersione.
Le abitazioni, costruite in mattoni crudi e per metà interrate nel suolo, sono allineate e adiacenti come una moderna città. La presenza di pochi edifici ben più grandi rispetto alla media, possono intendersi come luoghi di aggregazione di una parte della comunità. Poiché gli edifici sono privi di aperture sulle pareti, similmente alle abitazioni diCatalhoyuk (ma anche a quelle degli indiani Anasazi), si ritiene che l’ingresso avvenisse dal tetto piano mediante scale di legno removibili.
Un’area dedicata, a ridosso del sito, presenta ricostruzioni attendibili di queste abitazioni, realizzate con materiale e tecnica dell’epoca. All’interno delle camere ‘multifunzione’, ampie mediamente sui 20 mq., sono state individuate una settantina di sepolture, quasi tutte corredate da offerte funebri di collane e braccialetti. I defunti erano seppelliti in posizione fetale all’interno di fosse create sotto il pavimento degli edifici stessi.
Dall’analisi dei resti scheletrici sappiamo che la vita media dell’uomo era attorno ai cinquantacinque anni, mentre quella della donna non andava oltre i venticinque: le evidenti deformità riscontrate sulle articolazioni suggeriscono che il gentil sesso fosse impiegato anche in lavori solitamente svolti dai maschi, come il trasporto di carichi particolarmente pesanti.
Il campione ci permette inoltre di attestare al 50% la mortalità infantile; un’analoga percentuale è riservata agli scheletri che presentano evidenti segni di bruciature, a conferma che sovente, dopo il decesso, i corpi erano inceneriti in forni predisposti allo scopo (forse all’interno di santuari o templi destinati alle pratiche religiose), come d’altronde già accertato negli scavi di Cayoyu e Nevali Cori, con il rinvenimento di analoghi focolari. Poiché ad Asikli Hoyuk non è stato ancora rinvenuto quello che potremmo definire un cimitero, per il momento si scorge la possibilità che la sproporzione tra le sepolture e il numero di abitazioni sia riconducibile a un culto funebre riservato a una ristretta classe di dignitari.
Avanguardia tecnologica
Circa 20 anni fa, si rinvenne nel sito una collana con dieci perle di agata magistralmente perforate per quasi dieci millimetri. La scoperta induce a considerare che gli artigiani di Asikli Hoyuk avessero raggiunto un livello sorprendente di tecnologia nella lavorazione di questi manufatti, tenendo in considerazione che l’agata è una varietà di quarzo che, per la particolare durezza, si può forare ancor oggi solo con l’utilizzo di un trapano munito di punta conica di diamante. Una semplice punta d’acciaio non riuscirebbe nemmeno a scalfire l’agata, anzi la scheggerebbe. Una simile tecnologia, addirittura risalente a novemila anni fa, non può essere assolutamente conciliabile con le conoscenze che oggi pensiamo di avere del nostro passato.
Nel frattempo, a questa magnifica collana si è aggiunto un altro stupefacente manufatto: un braccialetto d’ossidiana, rinvenuto nel 1995 e databile allo stesso periodo della collana, che oltre a presentarsi in forma quasi regolare, denota l’incredibile simmetria della cresta anulare centrale e una superficie, simile a uno specchio, accuratamente pulita e rifinita. Realizzare questo bracciale, ora esposto al Museo Archeologico di Aksaray, richiederebbe oggi una tecnica complessa di lucidatura, ottenibile solamente con l’uso di lenti telescopiche. Lo sostengono i ricercatori dell’Institut Français d’Etudes Anatoliennes di Istanbul e del Laboratoire de Tribologie et de Dynamiques des Systèmes di Saint-Etienne, (lo studio è stato pubblicato dal Journal of Archaeological Science nel dicembre 2011), che hanno analizzato il reperto con il metodo della tribologica multiscala, tecnica già sviluppata per l’industria automobilistica (per determinare le proprietà meccaniche della carrozzeria) e ora adattata all’archeologia.
Un ultima scoperta interessante è venuta dal ritrovamento del cranio di una giovane donna che presenta tracce della prima trapanazione al cervello finora conosciuta: anche questo reperto è custodito alMuseo Archeologico di Aksaray. Probabilmente si trattava di un intervento chirurgico, poiché è stato determinato che la tecnica fu eseguita mentre la donna era ancora in vita e il decesso sarebbe avvenuto pochi giorni dopo. Tutti questi indizi che il sito ad Asikli Hoyuk continua a inviarci, ci costringono ad ammettere l’esistenza di una civiltà, tra Paleolitico e Neolitico, tanto evoluta da assomigliare notevolmente alla nostra.
Ora, gli scavi hanno raggiunto il livello più basso, rivelando informazioni preziose sullo stile di vita dei gruppi che hanno creato il primo insediamento circa 10.300 anni fa. Il direttore dello scavo di Asikli Hoyuk, il professor Mihriban Ozbasaran, ha spiegato che il sito rappresenta il primo villaggio noto della Anatolia centrale e della regione della Cappadocia.
Il lavoro archeologico ha permesso agli studiosi di ricavare una grande quantità di dati importanti che mette in luce l'importanza strategica dell'Anatolia nella storia della nostra civiltà. "Con la sua storia di 10.300 anni, Asikli Hoyuk è l'insediamento umano che ha portato importanti sciluppi tecnologici e scientifici in tutto il mondo, come ad esempio le prime attività agricole e la prima chirurgia del cervello", conclude Ozbasaran. [Fonte -Fonte - Fonte].
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