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Lo spirito “perduto”: l'io umano

Riflessioni sull'Antroposofia
La Scienza dello Spirito

Viviamo in un tempo in cui sempre più l’uomo deve divenire consapevole del suo ruolo cosmico, del senso della sua esistenza. Questo “senso” della vita è legato alla conoscenza che l’uomo può formarsi di se stesso. Non indagando il mondo e le sue leggi, arriverà la soluzione di questo compito umano; neppure navigando nello spazio cosmico si verrà a scoprire chi sia l’uomo stesso; tantomeno se ne troveranno tracce esplorando la sua vita psichica. Si potrà ottenere qualche cognizione soltanto cercando di afferrare la sua natura più intima. Esiste infatti nell’uomo un nucleo interiore, misterioso, a lui per ora in conosciuto che si nasconde in lui, al suo interno: è il suo Spirito, il suo Io.

Mai come in quest’era, in occidente, è andata perduta la conoscenza di cosa sia lo Spirito: e mai come ora è necessario che l’uomo riconquisti la conoscenza di questo elemento.

Dietro la parolina “io” è incarnato un arcano avviluppato da tanti veli; molti ignorano che dietro a tale parolina vi dimori l’elemento primordiale che compone la sostanza di ogni particella dell’universo: in esso è presente lo stesso principio che si trova insito in ogni cosa del mondo. Così come lo Spirito è la base di ogni esistenza universale, Il nostro io è il fondamento del nostro essere, la nostra essenza. L’io è lo spirito in noi. Ma è’ possibile arrivare ad una comprensione e un’esperienza della presenza dell’elemento “spirito” in noi?

Il concetto di Spirito venne abolito dalla coscienza umana tramite un Concilio ecumenico di Costantinopoli nel 869 dopo Cristo: a quei tempi, venne deciso che l’uomo doveva essere costituito di corpo e anima, la quale aveva qualità spirituali. Mentre prima si designava ovunque l’uomo tripartito di corpo (soma), anima (psiche) e spirito (pneuma), accadde che egli divenne un “bipede” bipartito in due elementi: uno fisico e uno psichico.

I filosofi greci sapevano che nell’uomo vi era un elemento della stessa natura del divino che penetrava in un corpo unendosi ad un anima, vivendo e morendo, per ritornare poi in ripetute terrene, tornando successivamente in corpi e anime sempre diverse. Questo “quid” era lo spirito immortale, la scintilla di Dio. Vi fu una necessità evolutiva che ebbe il compito di nascondere questa conoscenza: l’uomo doveva perdere la consapevolezza di possedere un elemento immortale che ritornava e si reincarnava in vite ripetute. Nello stesso tempo in cui lo spirito scomparve da dentro l’uomo, come elemento individuale, “comparse” all’esterno come Dio dell’universo, un legislatore esteriore.


All’uomo venne inculcato che doveva vivere una vita sola e gli era concesso di vivere come “immortale” solo dopo la morte (se conduceva una vita “retta”). In questo modo la vita umana perse di significato: divenne un mistero. Andò perduta l’occasione per l’uomo l’occasione di potersi “spiegare da sé”, di sostenersi da sé: ebbe bisogno di un istituzione esterna che lo guidasse, che desse un senso alla sua esistenza: sorse la chiesa. Ciò designò anche l’origine del dogmatismo religioso, che impossibilitato di “spiegare” indicava di affidarsi alla “fede cieca”.

Queste sono le cause esteriori della scomparsa dell’elemento spirituale. E’ possibile sperimentare in sé l’esistenza e la presenza dello spirito?

Si provi a risalire indietro ai nostri primi ricordi: si arriverà ad un punto in cui compare il primo ricordo. In genere esso è attorno ai tre anni: il momento in cui il bimbo comincia a dirsi “io”. Prima egli si dice: “Marco ha fame, Marco vuole giocare; non dice “io ho fame, io voglio giocare”. Non è presente ancora in lui un elemento individuale.


Si porti l’attenzione sulla percezione che si può avere di se stessi mentre si cerca di “afferrare” lo stato della coscienza di quel ricordo lontano, e anche di altri ricordi, accaduti durante la vita. Si avvertirà che la qualità della “presenza” della coscienza non cambia: se avevamo 6 anni oppure 31, non vi era modificazione dello stato di coscienza. Ci sentiamo come muoverci in un elemento sempre uguale a se stesso, non connotabile con una età. Colui che “era presente” durante il prodursi degli eventi non si sente inferiore, più piccolo, più immaturo: l’analisi viene compiuta tramite un elemento perenne, slegato dalla condizione temporale. Una sorta di “osservatore” senza età. Questo testimone/osservatore è il nostro io.

Vi è inoltre un altro modo per “cogliere” l’agire in noi dello spirito, durante la vita ordinaria.

-   Possiamo acquisire cognizioni tramite l’attività di percezione: attraverso i sensi riceviamo le percezioni visive, uditive, tattili, ecc. Tramite esse possiamo farci pensieri e sensazioni, sperimentare l’esistenza di un mondo esterno. Questo avviene a mezzo dei sensi inseriti nel corpo fisico.

-   Una volta ricevuta una percezione possiamo decidere se essa può esserci utile o dannosa, se possiamo goderne o rifiutarla: sentire se ci piace o no.

Questo è possibile tramite l’elemento dell’anima.

-   Quando abbiamo percepito, giudicato un oggetto, possiamo compiere un terzo processo: domandarci circa la natura di esso, le leggi che lo governano, il suo uso e significato. Questa prerogativa di indagarne i nessi ci è data dal nostro spirito. Tuttavia sarebbe una concezione errata quella che afferma che la mente è lo spirito: essa non è l'elemento spirituale, ma una sua funzione. Noi possiamo pensare perché vi è in noi uno spirito pensante. Occorre ben dividere ciò che pensiamo da ciò che pensa in noi, ed essere consci che il pensiero non viene da noi prodotto, ma solo manifestato.

Possiamo dire che lo Spirito, il nostro io è quell’elemento che può da un lato consegnarci e rivelarci la conoscenza del mondo e insieme, l’intuizione di noi stessi, come spiriti operanti sulla terra dentro un corpo e un anima.

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