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I Marò non sono due eroi nazionali, sono due persone sospettate di omicidio

In un articolo apparso il 18 marzo sull’International Herald Tribune il giornalista americano Gardiner Harris notava, con un tocco di ironia, come i due Marò coinvolti nella controversia dell’Enrica Lexieappaiano sempre in pubblico come due star. Vestiti impeccabili, capelli pettinati, occhiali da sole all’ultima moda. In Italia l’opinione pubblica ha raggiunto un grado di empatia con i due uomini del reggimento San Marco che è impressionante. Sono stati perfino ricevuti dal Capo dello Stato al Quirinale. La gente ha salutato il loro ritorno in patria come quello di due reduci di guerra, o di due ostaggi sequestrati da un’organizzazione terroristica.
La controversia diplomatica venutasi a creare tra Italia e India, dove ogni parte ha i suoi torti e le sue ragioni, ha fortemente alterato la percezione pubblica di ciò che è accaduto ormai un anno fa al largo delle coste del Kerala.
La Torre e Girone non sono due eroi, sono due sottufficiali che hanno ucciso, volontariamente o fortuitamente (questo lo stabilirà un tribunale), due pescatori disarmati. Godono dell’immunità dalla giurisdizione rispetto agli Stati Stranieri ma non godono dell’immunità in senso generale. Il Governo italiano non si sta battendo perché i due Marò tornino in libertà, sta semplicemente cercando di  fare in modo che i due sottufficiali siano processati in Italia, e nell’eventualità di una condanna scontino la loro pena in un carcere italiano.
I fatti sono abbastanza semplici. Il 15 febbraio 2012, al largo delle coste indiane del Kerala (Stato sud occidentale dell’Unione Indiana) i due Marò italiani, dal ponte della petroliera italiana Enrica Lexie, in acque internazionali, hanno aperto il fuoco contro un’imbarcazione indiana con a bordo undici pescatori completamente disarmati. Due membri dell’equipaggio del peschereccio sono morti a causa di diversi colpi di arma da fuoco sparati da fucili beretta in dotazione ai Marò.
La versione dei militari del reggimento San Marco è che il peschereccio non si sarebbe fermato di fronte all’alt intimato dalla petroliera italiana, attraverso alcuni segnali luminosi che rappresentano un codice di comunicazione navale. I militari avrebbero dunque seguito le regole di ingaggio sparando tre raffiche in acqua per indurre l’imbarcazione indiana ad allontanarsi. Alcuni di questi colpi avrebbero fortuitamente raggiunto l’imbarcazione indiana.
Anche qualora si riuscisse a dimostrare in tribunale che la versione fornita dai militari italiani sia quella vera, resterebbe un dato di fatto. I Marò hanno scambiato una nave con a bordo undici pescatori inermi per un vascello pirata e hanno deciso di aprire il fuoco. Vorrei insistere su questo punto. Erano pescatori, non pirati.
 La Torre e Girone hanno percepito un pericolo che non esisteva, e hanno deciso di usare le armi per allontanare individui disarmati. Hanno sbagliato a utilizzare le armi. I colpi non sono finiti in acqua, almeno non tutti. Alcuni hanno raggiunto il peschereccio e hanno ucciso due persone innocenti.
 L’equipaggio della petroliera continua a sottolineare che il peschereccio indiano non ha risposto ai segnali luminosi. Tutti i pescatori di tutti gli sperduti villaggi indiani conoscono il codice luminoso utilizzato dalle navi mercantili che transitano nel Mar Arabico? L’ipotesi che ci sia qualcuno che non lo comprenda la escludiamo a priori? Al punto da autorizzare i nostri militari a sparare contro qualsiasi barca incroci una rotta seguita da un mercantile italiano prima ancora di avvistare un’arma, anche una sola arma, su quella barca?
 Ma prendiamo anche per buona l’idea che i soldati italiani siano autorizzati a sparare raffiche di avvertimento perfino in presenza di un pedalò con a bordo una sola persona che non conosce, o non si accorge dei segnali luminosi. Le raffiche però devono finire in acqua, non sul pedalò. Se sei un sottufficiale del reggimento San Marco di scorta a una petroliera in una zona ad a alto rischio devi essere quanto meno in grado di prendere la mira. Se sbagli, e uccidi qualcuno, anche soltanto perché sei un incapace, poi devi pagare.
 Tutti sono innocenti finché un tribunale non emette una sentenza di condanna. Ma è certo che, nella migliore delle ipotesi, i due Marò hanno commesso un errore di valutazione che è costato la vita a  Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni). Che avvenga in acque internazionali, sulla spiaggia di Ostia, o nello Stretto di Gibilterra, un omicidio è sempre un omicidio, e la sua gravità non conosce gradazioni. L’unica cosa che cambia è la giurisdizione, il tribunale che deve giudicare.
 Gli italiani non dovrebbero augurarsi che i due Marò tornino liberi o che possano presto essere reintegrati nel proprio posto di lavoro. Dovrebbero piuttosto sperare che l’India rispetti le norme di diritto internazionale e lasci tornare i Marò in Italia, perché l’omicidio è avvenuto in acque in internazionali. Ma non per accoglierli come eroi, bensì per affidarli al giudizio del Tribunale militare italiano, affinché si celebri un processo equo, in cui gli interessi delle vittime siano tutelati tanto quanto quelli dei sottufficiali. E che nel caso in cui l’accusa dimostri che si è trattato di omicidio volontario o colposo i Marò si tolgano di dosso i simboli dello Stato Italiano e scontino una pena esemplare in carcere. Staremo a vedere cosa succederà …
Fonte: http://inchiostroscivoloso.blogspot.com/2013/03/i-maro-non-sono-due-eroi-nazionali-sono.html

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