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Dossier Ucraina: approfondimento

Ucraina: le Mappe per capire la Crisi
Alla luce dei fatti terribilmente seri attuali, riproponiamo il pezzo sottostante pubblicato recentemente, che aiuta a capire la crisi Ucraina e la degenerazione della stessa.
In realta’ bastano poche mappe per capire la questione. Attualmente il presidente e’ filo-russo e l’opposizione e’ filo-occidentale.
Partiamo dalla mappa etnico-linguisticasi nota che l’ovest ed il centro-nord del paese vedono una predominanza di popolazione di etnia Ucraina o che parla Ucraino, mentre il Sud e l’est hanno una maggioranza russa o russofona.
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 Le mappe Politico-elettorali ricalcano in pieno le mappe etnico-linguistiche



La divisione tra Filo-Europei e Putinville e’ questa
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 La mappa delle proteste attuali, ovviamente, ricalca le mappe precedenti:
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 Altro mappa interessante e’ quella dell’Emigrazione: le aree di fortissima emigrazione sono quelle filo-occidentali. Il paese e’ passato in pochi anni da una popolazione sopra i 50 milioni di abitanti, a meno di 45 milioni oggi.
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Ed eccoci alla Mappa dei Gasdotti: l’80% del Gas esportato dalla Russia in Europa passa dall’Ucraina, e ben sappiamo di varie crisi negli ultimi anni, e tentativi della Russia di aggirare l’ostacolo. L’Ucraina resta dipendente dal Gas Russo, la Russia dai gasdotti in Ucraina. Per cui spesso ci sono contenziosi. 
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 Conclusioni: il punto e’ semplice; in Ucraina convivono 2 nazioni, una con una storia intrecciata a quella della Polonia e della Lituania, che guarda Mosca con sospetto, e che vuole agganciarsi all’europa, l’altra abitata da molti Russi e Russofoni, che vuole sostanzialmente agganciarsi a Mosca. Il tutto in un quadro demografico ed economico terrificante. Per ora le 2 fazioni si sono alternate alla guida della nazione, senza pero’ risolvere questo dualismo. Prima o poi, i nodi verranno al pettine, e le 2 Ucraine probabilmente divorzieranno.
By GPG Imperatrice
L’Ucraina si dividerà in due? 
interessante articolo di Zerohedge sulla situazione Ucraina.
Il testo italiano di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte ComeDonChisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque.Primario

Con la Russia che ha messo sul tavolo 10 miliardi di dollari di fondi per questa nazione travagliata, e con i mercati dei capitali ucraini nel caos per le proteste degli anti-anti-Europa e per le rivolte in corso, Stefan Karlsson ha pensato ad un’alternativa per il “popolo contro il dittatore” – soprattutto alla luce del fatto che Yanuckovich può contare su una larga parte della popolazione (in particolare quella delle regioni orientali e meridionali del paese).

Tratto dal blog di  Stefan Karlsson’s blog

L’Ucraina, in particolare la capitale Kiev, continua  ad essere tormentata dagli scontri tra protestanti e polizia.  Queste proteste sono cominciate dopo che il governo ucraino ha deciso di rigettare l’accordo con l’Europa e di rinsaldare i suoi vincoli con la Russia.

Sulla maggior parte dei media occidentali, tutto è raccontato come la lotta tra il popolo e il dittatoreche si è alleato con Vladimir Putin. Tuttavia, quello che si dimentica di dire è che, benché il Presidente Yanukovich sia una persona piuttosto autoritaria, gode tuttavia dell’appoggio di una gran parte della popolazione.

Più in particolare, Yanukovich è molto popolare nelle regioni orientali e meridionali del paese, ma molto impopolare nella parte centro-occidentale e nel nord dell’Ucraina. Questa divisione geografica è illustrata nella cartina qui sotto che mostra chi lo ha votato nelle diverse zone dell’Ucraina (per una versione più grande dell’immagine fare click sulla zona) nelle ultime elezioni presidenziali.



Yanukovich ha ottenuto la maggioranza nelle zone di colore blu, più scuro è il colore blu, più forte è la maggioranza raggiunta, mentre il suo avversario ha ottenuto la maggioranza nelle zone gialle e rosse, con la maggioranza più forte nelle aree rosso scuro.

Le aree pro-Yanukovich sono essenzialmente le parti filo-russe dell’Ucraina. Qui il russo è la lingua prevalente ed una parte significativa della popolazione è considerata di “etnia russa”. Queste regioni hanno anche dei forti legami commerciali con la Russia.

Le aree anti-Yanukovich sono quindi in genere contrarie alla Russia, parlano solo la lingua ucraina, hanno pochi o nessun legame con la Russia, e vogliono restare così, come stanno.

Se vincerà Yanukovich, la parte filo-russa dell’Ucraina sarà soddisfatte ma la parte anti-russa si sentirà oppressa. Se invece vinceranno i manifestanti, la parte anti-russa sarà felice e la parte filo-russa si sentirà oppressa.

L’unica soluzione sensata per questo dilemma sarebbe dividere l’Ucraina. Le zone occidentali e centro-nord potrebbero creare uno stato filo-occidentale che rappresenta per intero la comunità linguistica ucraina mentre le zone meridionali e orientali potrebbero sia unirsi alla Russia, oppure creare uno stato in cui si parlerà russo eche sarà alleato con la Russia.

Anche questa soluzione non è del tutto priva di difficoltà perché ci sono zone che sono a loro volta divise tra sostenitori  pro-russi e altrettanti nazionalisti ucraini che insistono nel non volere la divisione del paese. Per quello che è la struttura attuale del paese, la metà della popolazione continuerà a sentirsi oppressa dall’altra metà e continuerà ad essere un disastro.

Ma la vera domanda che ci si deve fare, prima di dividere è : Da che parte stanno le risorse naturali?
I dubbi sui moti di protesta in Ucraina e la lotta per il predominio globale: le prossime olimpiadi di Sochi saranno un evento epocale 


Vorrei fare alcune considerazioni sulla crisi democratica in Ucraina. Prima di tutto bisogna chiarire che il paese in questione resta di fatto un satellite della Russia, essendo un tassello irrinunciabile per la difesa del territorio ex sovietico nell’ambito delle sfere di influenza. Oggi l’Ucraina appare come un paese allo sbando, in cui i dimostranti starebbero “vincendo” – sembra – la battaglia contro il potere, potere che in ogni caso non si può definire regime in quanto frutto di libere elezioni. Chiaramente il primo ministro ucraino è filo russo, ma non è – ci tengo a sottolinearlo – musulmano.
Andiamo indietro di qualche mese: prima dell’elezione di Putin alla presidenza dell’ex cuore dell’impero sovietico ricordo note di stampa che riportavano di manifestazioni di protesta a Mosca, solo successivamente capimmo che il bastone del comando – oltre che il cuore politico della gente – era saldamente in mano al potere tradizionale, con una rielezione straripante frutto degli enormi progressi economici e del rilevante incremento del livello di benessere della popolazione russa a partire dal 1998. Ricordiamo anche che la Russia si può definire a buon titolo il paese più ricco del mondo in termini di risorse, ha tutto, è un paese sconfinato e praticamente fino ad oggi non sfruttato, paese che per altro potrà avvantaggiarsi come nessuno del riscaldamento globale ricavandone terre coltivabili dove oggi c’è steppa gelata.
Ma andiamo al recente passato, ricordiamo la guerra in Siria ed il caso di intelligence dell’incontro segreto – che se è comparso sui giornali tanto segreto non è più – tra il ministro degli esteri saudita e Vladimir Putin. Da note circolate sulla rete, note che si ritiene siano state fatte circolare dai russi, sembra che l’emissario saudita, il principe Bandar, abbia tentato di intercedere con il presidente al fine di supportare l’intervento in Siria per cacciare Assad, con il parallelo impegno dell’Arabia a comprare – si dice -15 miliardi di dollari di armamenti russi.
La guerra in Siria, o meglio la rivoluzione siriana sobillata dall’esterno – un po’ come accadde in Libia, altro paese strategico del mediterraneo finito in mani franco-inglesi – è una guerra sporca. Forse in Siria la guerra è ancora più sporca in quanto si dice siano state usate armi di distruzioni di massa, gas nervini, il problema è che non si sa bene da chi. O meglio, sono apparse testimonianze e prove secondo cui tali armi sono state indirettamente fornite dalla Gran Bretagna (i prodotti chimici necessari a produrle) e che l’uso sia stato fatto da entrambe le parti, sia da Assad contro i rivoluzionari che, scandalo degli scandali, addirittura dai sovversivi musulmani contro la popolazione ma con il fine di incriminare il regime e causare la reazione internazionale. Questo è quanto è apparso in rete.
Come vedremo successivamente, giova ricordare che al cospetto della Russia, che comunque produce almeno tanto petrolio quanto i sauditi, l’Arabia offerente un paio di decine di miliardi di dollari per una causa geopolitica resta un paese solo relativamente ricco – leggasi poco convincente – in termini di potenza derivante dalle risorse presenti e future disponibili. Ossia, quando il petrolio sarà finito o non sarà più necessario nella misura attuale – e magari la partita dell’energia si giocherà sullo stoccaggio – dove pensate si troveranno le riserve di materiali e minerali pregiati necessari per affinare ed implementare tale nuova tecnologia, nel deserto o nell’immenso spazio ex sovietico? A parte la digressione, fu molto interessante la presa di posizione di Putin alla proposta ricevuta, con una risposta che meriterebbe il Nobel per la Pace per aver evitato la guerra del mondo contro la Siria (di fatto Putin decise la pace attraverso il non intervento da parte russa nella destituzione di Assad, senza approfondire per ora le ragioni strategiche di tale decisione, …): la reazione araba al niet russo fu – sembra – molto dura da parte dell’interlocutore, arrivando addirittura a minacciare nemmeno tanto velatamente di intercedere con i ceceni musulmani, finanziati – e finanche controllati, come gran parte di quei rivoltosi musulmani in Siria sospettati di maneggiare gas nervini – dai petrodollari sauditi al fine di incendiare le Olimpiadi di Sochi del febbraio 2014, ossia i giochi del prossimo mese. Sempre secondo quanto rilevabile in rete (con un abile ed apparentemente pre-ordinata azione di divulgazione) il finale dell’incontro russo/saudita meriterebbe l’oscar in una spy story stile Syriana, il film di George Clooney: visto che personalmente ritengo lo zar Vladimir poco disponibile ad essere minacciato pur anche da un discendente dei nomadi del deserto, a tentata minaccia corrispose la minaccia reale del puntamento dei missili russi di stanza in Siria non contro la coalizione internazionale alla caccia di Assad ma contro i pozzi ed alle infrastrutture petrolifere saudite, così da fare salire il prezzo del petrolio in caso di attacco [qual era probabilmente il desiderata arabo iniziale, ma ritengo in forma leggermente diversa...]. Con tali premesse, chiaramente tutto si risolse in un nulla di fatto, e ci sarebbe mancato altro. Ma resta ancora il dubbio che i Giochi Olimpici di Sochi possano incendiarsi. E che quello che sta accadendo oggi in Ucraina sia solo una piccolo tassello di un grande puzzle, un puzzle di guerra, di sangue e di poteri contrapposti.
Facciamo un rapido fact check su quali sono gli interessi russi e quali possono essere gli strumenti di “convincimento” utilizzabili nello scacchiere geopolitico mondiale, alla luce del fallimento saudita sopra riportato. Paese con un GDP maggiore dell’Italia nel 2012 – e sarà molto maggiore nel 2013 -, oltre 2000 miliardi di dollari praticamente senza debito pubblico nè privato (vantaggio competitivo mica da ridere in un momento in cui il mondo occidentale annega nei debiti), ha il suo punto di forza nelle materie prime, possedendo nel suo sconfinato territorio praticamente tutte le risorse necessarie allo sviluppo economico di una nazione, è geograficamente confinante con il paese che ha la maggiore popolazione del mondo, ossia il massimo consumatore di materie prime, la Cina. In ambito energetico forse sfugge che il primo produttore di petrolio mondiale nel 2013 non è stato l’Arabia Saudita, né gli USA, ma la Russia con circa 11 milioni di barili al giorno. Ovvero un totale di circa 4 miliardi di barili annui di produzione: ad un prezzo medio di 100 dollari al barile significa qualcosa come 400 miliardi di dollari di introiti annui solo dal settore energia, e senza estrarre l’oro nero dal fondo del mare con costosissime infrastrutture ma piuttosto convogliando quanto il ricchissimo e vastissimo territorio ex sovietico generosamente mette a disposizione. Va parimenti considerato che la Siria solo un paio di anni fa rifiutò di far transitare sul proprio territorio un gasdotto che avrebbe dovuto portare il gas quatarino in Europa, l’idea dei promotori era probabilmente quella di spiazzare il gas russo nel mercato europeo. Ma, per avere un quadro completo chiediamoci chi sono oggi gli acquirenti finali di gas russo e mediorientale a livello globale. Gli USA no, sono autonomi con il proprio shale gas. Il Giappone si, ma deve approvvigionarsi via LNG, gas liquefatto, e non via gasdotto. Inoltre l’Australia con i suoi enormi giacimenti – che già la fanno immaginare in prospettiva come nuovo Quatar – è molto vicina e quindi maggiormente accessibile. La Cina si approvvigiona direttamente via gasdotti dalla Russia oltre ad avere importanti aziende statali di esplorazione, facendo con grande ritardo quello che fecero le majors USA a partire dopo la seconda guerra mondiale. Dunque chi resta? Se i mercati emergenti sono oggi in crisi, e quindi tendenzialmente non consumeranno molto di più di quanto già consumano – oltre ad essere spesso diventati loro stessi produttori –, come consumatore oltre all’India resta solo l’Europa, innervata di gasdotti russi costruiti, se ricordo bene, in buona parte con tecnologia italiana dopo l’ultima guerra. In questo contesto di chiaro eccesso di offerta – tutti stanno diventando produttori, il Brasile insegna – l’accesso ai mercati finali è fondamentale e quindi il controllo della Siria resta strategico come porta per l’Europa, come è strategico ogni paese che possa permettere l’accesso diretto o indiretto ai clienti finali, finanche ricordando come l’Ucraina sia ad oggi un importante paese di transito di gas, meno importante di 5 anni or sono in quanto oggi esiste l’alternativa del North Stream (pipeline tra Russia e Germania), ma pur sempre un paese da tenere in considerazione, per lo meno fino a quando in Europa i clienti finali si potranno permettere di pagare alti prezzi per i combustibili. Dunque, riassumendo, se il principe Bandar voleva convincere la Russia con soli 15 miliardi di dollari ad aprire le porte del cliente Europeo al gas mediorientale spiazzando quello russo, i conti decisamente non tornano.
Torniamo all’ex satellite sovietico, torniamo a Kiev. Il tempismo dei moti di protesta è eccezionale: un mese prima delle Olimpiadi esplode il rancore ucraino contro il governo e le televisioni di tutto il mondo stigmatizzano come il “regime” sia finito, prossimo alla caduta. Vien da chiedersi, chissà chi sta finanziando la protesta contro Yanukovich, che ripeto “regime” non è… Ma questo non è importante, è invece essenziale spiegare che oggi il governo filo russo dell’Ucraina non può reagire alla provocazioni, siamo troppo prossimi ai giochi Olimpici (spero infatti che sia chiaro a tutti che la reazione governativa ai moti semplicemente non c’è stata, finora). Giochi che, si noti bene, sono una questione di orgoglio per la Russia: per la prima volta dopo il comunismo il paese è tornato alla pubblica ribalta internazionale con un evento globale, evento che lo stesso presidente russo ha promesso essere la miglior Olimpiade della storia. Per l’occasione sono stati addirittura graziati gli oligarchi in galera da anni, chi conosce i russi sa come l’orgoglio sia un elemento esistenziale del carattere della gente della steppa. Eppoi, anche con il fine di sostenere l’Europa e l’euro, prima di un’elezione europea cruciale e pericolosissima per il futuro della ormai discutibile moneta unica a trazione tedesca, può fare gioco far riverberare sui media il messaggio che c’è ancora qualcuno disposto a combattere per entrare nel progetto europeo(magari dimenticandosi di dire che poi si diverrebbe immediatamente candidati per un’eventuale piano di rientro…)
Quindi per qualche settimana dobbiamo rassegnarci ad ascoltare lo stillicidio di notizie secondo cui il governo ucraino cadrà, condito da affermazioni secondo cui il governo democraticamente eletto è diventato regime, non riuscendo la polizia filo russa a sedare la rivolta, sfuggendo ai più la genesi e le “sfaccettature” di tale protesta. Secondo me la realtà è un po’ diversa: non è che, magari, la rivolta semplicemente non la si vuole sedare, ora. Dopo la fine delle Olimpiadi invernali le cose rischiano di essere molto diverse e potremmo presto dimenticarci della tentata rivoluzione d’inverno in terra ucraina catalogandola come semplice e sotto certi punti di vista irrazionale protesta, poveretti coloro che dovranno subire la repressione là da venire.
Per l’enorme rispetto ed affetto che ho per gli amici d’oltreoceano, molti dei quali italiani, spero solo che dietro questo enorme pasticcio in salsa ucraina non ci sia la lunga manus statunitense. Se così fosse, e se il piano per boicottare i giochi olimpici fallisse – il vero piano sembra quello di indebolire l’avversario globale di sempre, ossia la Russia – mi chiedo se il XLIV presidente degli Stati Uniti, sebbene dotato di una grande e rispettabilissima ideologia di stampo democratico-roosveltiano, dopo una sfilza interminabile di azzardi seguiti da vari insuccessi internazionali ed interni (consolidamento del regime Iraniano, primavere arabe diventate un inferno, allontanamento dalle posizioni dello storico alleato Israeliano, abbandono di importanti alleati storici nelle passate guerre per le risorse, includendo Berlusconi, probabile fallimento economico dell’Obamacare, scandalo NSA, government shutdown, crisi economica statunitense ancora di fatto non superata ecc.) alla prova dei fatti non possa a buon titolo rischiare di diventare il peggior presidente della storia recente della più grande democrazia del mondo.
Per confermare lo scenario manca però il vaticinio, direi. Ed ecco (purtroppo) che a fine 2013 Forbes, iconica ed influente pubblicazione americana, assegna a Vladimir Putin lo scettro di uomo più potente della terra, guarda caso sorpassando il XLIV presidente della democrazia più grande del mondo.
Siamo nel mezzo di cambiamenti epocali.
Mitt Dolcino
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Letture consigliate:
http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/energy/oilandgas/10266957/Saudis-offer-Russia-secret-oil-deal-if-it-drops-Syria.html
http://www.reuters.com/article/2013/06/18/us-syria-crisis-idUSBRE95G0MR20130618
http://beforeitsnews.com/middle-east/2013/08/saudi-arabia-threatens-terror-attacks-on-russia-if-putin-doesnt-drop-support-for-assad-2453844.html
http://www.neurope.eu/article/putin-backs-assad-over-gas-route
http://www.eutimes.net/2013/08/putin-orders-massive-strike-against-saudi-arabia-if-west-attacks-syria/
http://news.sky.com/story/1116687/britains-chemical-sales-to-syria-revealed
http://www.globalresearch.ca/the-syria-chemical-weapons-attack-and-the-role-of-saudi-intelligence-the-mint-news-report/5359154
PRODUTTIVITA’, PREDE, SOVRANITA’ E BIONDE: benvenuta Ucraina nella tela del ragno
Nei precedenti articoli abbiamo fatto la conoscenza dei seguenti elementi:
1)      Pil Effettivo;
2)      Pil Potenziale;
3)      Prey-predator Game Model
Vediamo oggi come questi elementi si compongono, o si comporranno, per aiutare l’economia di una nazione per la quale, a breve, è previsto l’ingresso nella Eurozona.
Ad avvantaggiarsi dell’ingresso in eurozona sarà sicuramente l’export ….di bionde!
Le mitiche sigarette direte? Sono arrivati a produrle sin lassù?
Mah! Non saprei. A dire il vero io parlavo di vere bionde.
No no, non preoccupatevi!
Non ha senso chiedersi se ho messo tracce di tabacco in quel fumo. Io non fumo e non bevo.
Già, proprio così, sono perfettamente lucido (e lungimirante direi) e le mie sinapsi sono perfettamente collegate tra loro.
Vediamo allora cosa hanno elaborato le mie meningi.
Dunque, ad uso smemorati, il PIL Effettivo è il pil che si genera andando ad analizzare il lato della domanda.

Y = C + I + G + X – M + ∆Scorte

Su di esso, hanno effetto positivo ogni stimolo della domanda, quelli che incrementano i consumi e quelli che incrementano la spesa pubblica (produttiva e non).
Peccato che al Ministero del Tesoro, dove sono impiegati i più grandi geni e le più fervide menti prodotte dallo stivale, questo modello di rappresentazione del PIL sia ben poco gradita. Vi chiederete come mai? Perché premiando risultati di breve periodo, spinge la politica (altra cosa che alle vere classi Dirigenti piace poco) a prendere provvedimenti per sostenere il valore non concentrandosi sui fattori di gran lunga importanti: gli investimenti che sviluppano la produttività!
E dato che non parliamo di provvedimenti strategici (incrementare nel tempo la produttività) ma tattici, stimoli di breve periodo della domanda aggregata, i risultati pare che svaniscano dopo un periodo di tempo più o meno lungo (uno, due, massimo 3 anni).
Ai severi ed austeri custodi delle strategie di lungo periodo, piace più la formula del PIL Potenziale:

 Y = TFP * Lα* K1-α

Perché questa formula attrae maggiormente? Perché i “geni della lampada di Aladino” sono convinti che moltiplicando il numero dei lavoratori impiegati con il capitale investito e miscelando il tutto con la TFP (produttività totale dei fattori) si ottenga il vero PIL Potenziale raggiungibile dalla nazione, quello che riesce a stare in piedi nel lungo periodo, senza che si crei inflazione.
La differenza tra le due concezioni, sempre per i nostri strateghi del risiko, mix di superneuroni e superefficienti sinapsi, sta nel fatto che:

1)      Se prendiamo la prima identità, uno stimolo della domanda aggregata dell’1% (magari da un incremento della domanda mondiale, cosa possibile per il 2014) genera un incremento del PIL Effettivo dello 0,22%.
a.      Prima di tutto cresce il commercio estero nella misura dello 0,12% del Pil
2)      Nella seconda fare, per effetto del Moltiplicatore keynesiano, cresceranno i consumi parallelamente alla riduzione dell’effetto del commercio internazionale
a.      La crescita varrà circa 0,18% del PIL
3)      Nella terza fase, questo stimolo aumenterà la produttività perché migliorerà la Total Factor Productivity
a.      Il tasso d’impiego degli impianti sale di un 3-4-5%
b.      Le risorse umane produrranno di più a parità di ora uomo spesa;
c.       La crescita della TFP da commercio estero varrà circa 0,16% del PIL ed agirà, dunque,in un momento successivo all’incremento dei consumi da moltiplicatore
4)      Nella quarta fase, questo stimolo produrrà maggiore domanda aggregata  per la crescita degli investimenti,
a.      La crescita è di circa 0,06% del PIL.

Quindi, prima cresce la TFP, cosa normale perché abbiamo una saturazione delle risorse senza fare ulteriori investimenti e senza assumere personale, poi sale l’occupazione, cala la TFP e cresce il CLUP e, per tale via (essenzialmente inflazionistica), ci si ritrova al magicamente al punto di partenza dopo il periodo di tempo sopra riportato.
Per quanto sopra ilustrato, non conviene investire tempo e risorse sul lato della Domanda Aggregata, essa genererebbe un PIL che si allontana da quello Potenziale solo per un breve periodo, non è strutturale, non dipende dall’offerta, dall’equazione della produzione che tanto amano i geni del Ministero del Tesoro (gente che in vita loro, probabilmente, non ha mai avviato alcuna attività economica autonoma).
Ma qual è l’elemento che cozza con la teoria che cercano insistentemente di propinarci tanto politici di destra quanto politici di sinistra?
Il Prey-Predator Game Model!

Per tale modello abbiamo visto che ci potremmo trovare di fronte ad una calo delle prede (consumatori) a disposizione quando invece i predatori (aziende) sono tante in un terreno di caccia estremamente ristretto, limitato.
Cosa accade allora se in un territorio di caccia in cui, per la teoria di sviluppo del sistema produttivo, ci si basa sull’incremento degli investimenti per azienda esistente si comprimono i salari (vedi sistema alemanno dei Minijobs) riducendo le prede nel proprio territorio?
Semplicemente che ho bisogno di andarmi a cercare le prede in altri territori altrimenti accade questo.
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Vediamo che dal 1981 al 1983 la Produzione industriale tedesca calò, così come dal 1992 al 1994 e nel 1997.
L’esigenza di andare a cercare le prede in altri territori si scontra, per quanto le proprie industrie siano più competitive, con la risposta dei predatori ivi presenti.
Ebbene, prendendo a prestito un grafico del lavoro del Prof. Bagnai (che il buon Dio lo preservi a lungo) possiamo notare:
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Una svalutazione che ha preceduto di qualche trimestre il fatto accaduto in germania, consentì alle industrie italiane di recuperare produttività, di essere più competitive e di bloccare il processo di saturazione delle risorse del sistema produttivo alemanno: la loro TFP andava a farsi benedire!
Attenzione, ciò che per i tedeschi era una caduta della TFP, per l’Italia era l’opposto, a parità di manodopera la maggior saturazione degli impianti consentiva il suo recupero. Sto esattamente descrivendo il percorso precedentemente descritto: la ripresa della produttività (per il TFP) conseguente a uno stimolo del PIL Effettivo da Commercio Estero. La svalutazione ha consentito maggiori esportazioni rispetto al normale, per mezzo della condizione di Marshall-Lerner, aumentando la domanda aggregata in modo considerevole.
Nel corso degli anni successivi,  poi, fece seguito una rivalutazione (imposta dalla Germania) nel quadro del progetto di realizzazione dell’unione monetaria auspicata dall’egemonia Germanica.
Essi, avevano maturato l’esperienza nel 1929 sotto il cancelliere Bruenning: soppressione delle prede all’interno del proprio territorio, crescita del peso specifico dell’industria tedesca, necessità di ricercare nuove e maggiori prede allargando il territorio di caccia.
Avere troppi predatori in circolazione quando le prede scarseggiano fa diventare i termini “produttività” e “Pil Potenziale” una mera esercitazione teorica.
E’ necessario ampliare i territori di caccia, decennio dopo decennio, continente dopo continente.
Un predatore in competizione, se in condizioni, può difendere il proprio territorio di caccia ricorrendo a tutte le armi in proprio possesso (nel caso dell’Italia la svalutazione della moneta sovrana) ed allora la produzione industriale cala, e con essa la TFP, compromettendo i piani di lungo periodo. Per questo motivo, queste armi andavano smantellate! Nasce l’Euro!
Ora sappiamo cosa è accaduto all’Italia in questo decennio di ridotte difese del proprio territorio di caccia e, grazie al Prof. Alberto Bagnai, sappiamo benissimo anche quali strategie di deindustrializzazione siano state utilizzata da CONFINDUSTRIA Tedesca:dumping retributivo e ciclo di Frenkel!
Ma questo discorso, vi sarete sicuramente chiesti, cosa c’entra la giovane Ucraina? Cosa c’entrano le Bionde?
Ah! Già! E’ vero, dimenticavo, ma sapete com’è, per comprendere le contorte menti del Ministero del Tesoro serve sicuramente un insieme contorto di neuroni e sinapsi, datemi tempo e capirete.
Per ora facciamo un salto in Portogallo.
Come cosa c’entra il Portogallo? Il Portogallo c’entra sempre.
Il 5 novembre 2013 a Pescara si tiene il convegno “Euro, Mercati e Democrazia” nel corso del quale il Prof. João Ferreira do Amaral (Instituto Superior de Economia e Gestão, Lisbona) segnala che il Portogallo, non potendo essere più competitivo, spostò il baricentro della propria economia dal settore manifatturiero a quello edilizio (non-tradable) con conseguente deindustrializzazione del paese.
Cioè, grazie all’unione monetaria, il Portogallo ha perso tutte le sue industrie operanti nei settori tradable e si è organizzata per i soli settori Non Tradable: le costruzioni!

Ecco, fate attenzione al fenomeno:
-          settori tradable soggette alla concorrenza spietata dei tedeschi;
-          settori non tradable al riparo!

E cosa credete accadrà alla giovane Ucraina dopo che sarà entrata nell’euro? Semplice, i suoi produttori di beni tradable saranno sottoposti ad una feroce competizione internazionale, specialmente da parte delle aziende tedesche.
Saranno allora capaci, i giovani e fieri Ucraini, di far fronte alla competizione con la forte industria Tedesca?
Ovviamente No!
Ma il guaio è, purtroppo, che ad averli avvisati di questo è stata l’invidiosa Russia (come una volta per noi gli USA), accusata di cercare in tutti i modi di evitare l’ingresso Ucraino in Eurozona. Si sa, forse non desidera avere ai propri confini la potente ed insidiosa UE:

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“La UE costa e l’Ucraina non sa con chi stare”

In tempi brevi l’Ucraina firmerà l’accordo di associazione con l’Unione Europea e già si parla dei costi dell’operazione: finanziari e politici. Secondo gli esperti, soltanto per adeguare le sue norme economiche a quelle europee Kiev dovrebbe spendere 165 miliardi di euro in dieci anni.

Una somma enorme che non spaventa il primo ministro Azarov, il quale spera che gli europei vogliano accollarsene una parte.
La pensa diversamente il rappresentante dell’Unione Europea in Ucraina, secondo cui al massimo potrebbero essere stanziati 45 milioni di euro nei prossimi due anni.
Secondo l’economista Boris Scmeliev, la scelta europeista di Kiev potrebbe avere un costo accettabile.
Gia’ oggi la bilancia commerciale ha un saldo negativo di 8 miliardi e mezzo di dollari e si dovrebbe arrivare ai 12 miliardi, ma non si tratta di una tragedia. Nonostante la crisi l’Unione Europea riuscira’ a dare all’Ucraina quanto non potra’ mai dare l’Unione doganale, tanto piu’ che Kiev punta ad una certa collaborazione con questo organismo.

(da La Voce della Russia)

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Dunque leggiamo bene:

1)        FABBISOGNO PER INVESTIMENTI DI ADEGUAMENTO DELLE INDUSTRIE (SOSTITUZIONE STOCK DI CAPITALE): 165 MILIARDI;
  1. d’altronde l’Ucraina ha ereditato dal passato sovietico una struttura economica basata sull’industria pesante e sulla tecnologia, largamente superata ad occidente;
  2. il costo sarà legato all’adeguamento degli impianti agli standard UE e agli aspetti ambientali;
  3. le banche europee non saranno disposte a finanziare l’Ucraina per tali somme. Il principale creditore dell’Ucraina (la Russia), alla luce delle norme europee che priverà le aziende ucraine della competitività nel mercato domestico, cesserà l’erogazione dei prestiti e chiuderà il mercato dell’Unione doganale di Russia, Bielorussia e Kazakistan. Alla lunga ciò porterà a una catastrofe economica. Per superare il default l’Ucraina dovra’ investire circa 35 miliardi di euro in programmi di stabilizzazione, ma i promotori dell’associazione non lo dicono e non ci vogliono pensare.
  4. L’Ucraina ha sì diversificato anche rispetto ai settori tradizionali, ma in modo lento e insufficiente rispetto al peso dei settori tradizionali.
2)        SOGNO DI AZAROV: COPERTURA PARZIALE DA PARTE DELLA UE, FACCIAMO UN 30%? 50 MILIARDI?
  1. Risposta della UE: al massimo metteremo sul piatto 0,045 miliardi di euro
  2. Commento degli economisti autoctoni: “cosa importa, dall’ingresso in eurozona sicuramente guadagneremo tanto!”
  3. Commento di uno dei commissari UE: “l’Ucraina crescerà del 6% entrando in Europa (Fonte La Voce della Russia – intervista al consigliere di Putin Sergey Glazyev)
3)        COSA LEGGIAMO NOI? TOTALE DEINDUSTRIALIZZAZIONE!
  1. Mancanza di capitali per rinnovare gli impianti e competere in un mercato senza frontiere né solidarietà;
  2. Perdita di capacità competitiva nei mercati dei tradables;
  3. Arrocco da giocatore di scacchi nei settori Non Tradable!

Ma allora….allora dobbiamo attenderci un calo del Pil e potenziali problemi al rapporto debito/pil? E oggi come sono invece messi?
ucraina debt su gdp
Beh, in fondo prima che arrivino al 60% hanno possibilità di lavorare a deficit per qualche anno, dando momentaneamente l’idea che l’Eurozona sia stato un buon affare.
Ma quanto possono resistere? Stando all’analisi del Budget un 5-6 anni!
Le finanze pubbliche sono in difficoltà. Il paese registra un crescente deficit del bilancio pubblico (-4% nel 2012 e previsto -5% nel 2013), legato da un lato alla riduzione delle entrate fiscali a causa del rallentamento economico e dall’altro al progressivo aumento della spesa corrente (salari pubblici e pensioni) e al pagamento dei sussidi al prezzo al consumo del gas (mediante trasferimenti all’azienda di stato Naftogaz, che nel 2012 ha registrato un deficit pari a circa il 2% del PIL). Beh, con un budget del genere (da spendaccioni) ci impiegheranno poco tempo di sicuro. E com’è la situazione della bilancia commerciale?
Mmmmhhhh….molto negativa, Il deficit delle Partite Correnti (conti con l’estero) è una delle principali criticità del paese. Le cause sono l’export in calo e le crescenti importazioni di beni energetici dalla Russia (equivalenti al 25% delle importazioni totali del paese). Il persistere della debolezza dell’export ucraino e il mancato raggiungimento di un accordo con la Russia per la riduzione dei prezzi di fornitura del gas sono gli elementi alla base delle previsioni di un ulteriore ampliamento del deficit corrente, previsto a -7,9% del PIL nel 2013. Ho paura che con l’Euro la situazione sarà ancora peggiore per gli ulteriori problemi legati alla perdita di competitività.
Formalmente l’Ucraina ha un tasso di cambio flessibile, tuttavia la banca centrale mantiene la valuta nazionale ancorata al dollaroad un tasso di circa 8 UAH/USD. La difesa dell’ancoraggio al dollaro ha comportato un notevole costo per il paese in termini di riserve valutarie, difficilmente sostenibile anche nel breve termine.
Dopo il rilevante incremento registrato nel 2011 (+5.2%), il Pil ucraino nel 2012 è cresciuto dello 0.2 %, principalmente a causa della debolezza della domanda internazionale delle commodities esportate dal Paese.
Anche per il 2013, saranno rilevanti, oltre all’andamento della domanda internazionale dei beni esportati dall’Ucraina (prodotti agricoli e della metallurgia in primis), le dinamiche legate alla moneta nazionale: senza un cambio di politica della Banca Centrale (che permetta un deprezzamento della propria moneta) le esportazioni ucraine non consentiranno un’effettiva ripresa e una conseguente spinta al PIL per le dinamiche precedentemente indicate.
ucraina riserve straniere

In forte calo le riserve internazionali. Il deficit di parte corrente ha progressivamente drenato le riserve di valuta forte della Banca Centrale a causa del mantenimento dell’ancoraggio della valuta al dollaro. Le riserve internazionali nel 2012 erano pari a circa USD 24 mld, equivalenti a 2 mesi di importazioni, in calo del 20% rispetto al 2011. Nonostante alcune misure adottate dalla Banca Centrale per ridurre la fuoriuscita di valuta forte, il trend è proseguito durante la prima metà del 2013, periodo in cui le riserve sono state intaccate anche per il ripagamento di una parte del debito estero in scadenza. A fine scorso mese le riserve risultavano pari a USD 21,6 mld.
ucraina debito estero

E possiamo notare che già adesso l’industria non è ben messa:
ucraina produzione industriale

A cui possiamo collegare una caduta del tasso d’investimento in nuovo capitale o nel rinnovo di quello esistente:
ucraina accumulo di capitale
 Insomma possiamo notare che l’Ucraina ha un’economia da salvare, un’industria da modernizzare e un’imprenditoria da ricostruire.
Difatti, dopo qualche trimestre buono, gli ultimi periodi sono stati fortemente negativi:
Nel 2010, l’economia del paese si è parzialmente ripresa grazie ad un aumento dei prezzi sul mercato mondiale delle esportazioni ucraine (l’Ucraina fornisce al mercato globale materie prime, prodotti chimici e alimentari, i cui prezzi sono ovviamente instabili). I salari sono stati tagliati e svalutati al fine di garantire la ripresa ma negli ultimi tre anni, comunque l’Ucraina è diventata uno dei più grandi debitori del Fondo monetario internazionale (FMI). L’attuazione del programma neoliberista sta aggravando l’ingiustizia sociale e la disuguaglianza economica nel paese. Le autorità ucraine stanno privatizzando le imprese statali e hanno l’intenzione di effettuare la riforma del sistema delle pensioni, aumentando l’età pensionabile per le donne (portandola al livello di quelle per gli uomini) e incrementando il numero di anni necessario per conseguire la pensione.
Le scelte di politica economica dei prossimi sei mesi saranno fondamentali: la svalutazione della moneta, il contenimento della spesa corrente e la riduzione dell’indebitamento. Sono scommesse importanti per capire come la nazione si presenterà alla UE e al FMI (che dovrebbe intervenire per aiutare dopo uno storico stop di qualche anno fa).
Secondo Bogdan Bezpalko, del Centro studi Ucraina e Bielorussia, l’Ucraina rinuncia alla sovranità politica ed economica e si trasforma in una colonia dell’UE. Di propria volontà consegna il potere nelle mani altrui e riceve in cambio tutta una serie di impegni e nessun diritto. In linea di massima tutto quello che i commissari europei promettono all’Ucraina, come perfezionare la democrazia e migliorare l’economia, in una prospettiva molto vaga e che come al solito prevede un forte peggioramento nel breve e medio periodo (come ammettono gli stessi eurocommissari) in cambio degli effetti positivi presunti di lungo termine legati al cambio di paradigma: dal pil effettivo di breve e medio termine legato all’equazione della domanda al pil potenziale legato alla funzione di produzione dal lato dell’offerta!
La verità è che alla UE delle multinazionali serve solo avere nuovi acquirenti, nuovi target di mercato da curare; nuovi “clienti” cui piazzare beni e servizi. L’importante – pertanto – è chiudere l’accordo di associazione, indipendentemente dal contesto sociale, economico ed umano. Poteva fermarsi giusto adesso il processo di ampliamento del territorio di caccia? No di sicuro!
Indipendentemente da quanto verrà loro dalla Troika all’Ucraina, appare sempre più evidente che il futuro degli Ucraini, di fronte ad una perdita della competitività del sistema industria, sia l’export di prodotti tipici DOCG, il settore dove sono al riparo dalla concorrenza internazionale: l’export di bionde.
export finale

Fig. 1: Prodotto tipico locale DOCG
E noi questa volta saremo prontissimi per fare business con l’Ucraina! 967394_352652581538590_1364865042_n

 Maurizio Gustinicchi
Economia5Stelle.
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Fonte:  scenarieconomici.it

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