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I pirati che hanno salvato il cinema

Malgrado allarmi e denunce delle case di produzione contro download e streaming, dal 2009 al 2014 gli incassi dei cinema su scala mondiale hanno segnato un +33%. Così come avvenne 30 anni fa per i videoregistratori, le nuove tecnologie si stanno rivelando alleate delle majors piuttosto che nemiche. Al contrario, tutti i tentativi di repressione sono falliti, a vantaggio di chi continua a battersi nel nome della "free culture"

ROMA - La pirateria digitale, i film e scaricati o guardati in streaming gratis da piattaforme che appaiono e scompaiono su internet, non solo non stanno danneggiando le grandi case di produzione cinematografiche, ma, anzi, secondo alcuni studi, starebbero facendo lievitare la presenza di spettatori nelle sale e aumentare gli introiti delle majors. Così le leggi repressive, le minacce di multe, arresti, blocchi di internet, oltre che inapplicate, si stanno dimostrando obsolete se non, addirittura, dannose. I pirati del web, insomma, stanno salvando Hollywood. Un paradosso. Perché la pirateria è e resta un reato. Chi scarica abusivamente film e brani musicali rischia multe e denunce penali, così come chi li mette a disposizione sulla rete. E' una realtà che va ribadita.

I nuovi mezzi di distribuzione hanno sempre creato allarme, in campo audiovisivo anche di più. In principio ci fu il "Betamax case". Universal e Disneydenunciarono la Sony perché, siamo agli inizi del 1970, la compagnia giapponese mise sul mercato uno strano marchingegno che insieme al televisore avrebbe rivoluzionato la vita dello spettatore americano: il videoregistratore. Gli Studios, spaventati dalla possibile diaspora dalle sale, corsero ai ripari. Dopo diversi anni (1984) si arrivò alla storica sentenza: il videoregistratore non violava il diritto d'autore. Anzi, in quel periodo non solo le sale cinematografiche non avevano risentito di questa nuova apparecchiatura, ma il mercato dell'home video aveva portato nelle tasche degli Studios la metà degli introiti di tutta l'industria cinematografica. Passati ormai più di 30 anni lo schema sembra ripetersi nuovamente. 

Internet sul finire degli anni '90 comincia ad affermarsi come nuovo strumento tecnologico, apolide, e, per gli Studios, apocalittico. Nascono siti di sharing, streaming, download. Basta andare su piattaforme peer to peer quali Emule, o affidarsi ai torrent sparsi nella rete e il gioco è fatto. Tutto è catalogato, schematizzato, fornito comodamente a casa, velocemente e soprattutto gratuitamente. Due i siti più famosi: The Pirate Bay e Megaupload. 

È tra le pieghe di questi due siti che si combatte una battaglia non solo economica e giuridica, ma anche morale e culturale. Da una parte il sito svedese fondato da tre giovani hacker scandinavi si ispira alla nobile filosofia della free culture: la cultura è un bene di tutti e chiunque deve accedervi in maniera libera e gratuita. Dall'altra, non si può fare a meno di notare come il sito del tedesco Kim Donton presenti dei numeri da capogiro. 150 milioni di utenti registrati, 50 milioni di utenti unici al giorno, un introito che si aggira sui 200 milioni di dollari annui. Nel 2012 il Dipartimento di giustizia americano sequestra il sito e il povero Kim viene arrestato. L'accusa è violazione del copyright e pirateria. Si parla di perdite per l'industria cinematografica americana intorno ai 500 milioni di dollari. 

Ma come si può calcolare scientificamente l'impatto della pirateria sull'industria cinematografica? Chi può assicurare che il ragazzo che ha visto uno dei tanti film a disposizione gratuitamente in rete, sarebbe andato in sala, o avrebbe comprato il dvd? E' questo uno dei punti più delicati dell'intera vicenda. 



Come sostiene Marco Scialdone, avvocato in Diritto dell'Informatica e di internet, non esiste e non può esistere una diretta relazione tra pirateria senza scopo di lucro e mancato guadagno perché le ricerche commissionate dalle majors non sono scientificamente attendibili. Se si analizzano i dati infatti si può notare che, negli ultimi anni, gli incassi al botteghino non sono diminuiti, arrivando nel 2014 a segnare uno dei record storici dell'industria cinematografica. A dirlo è la Mpaa, l'ente americano formato dalle stesse compagnie cinematografiche che più di tutti in questi anni hanno combattuto la guerra alla pirateria. Dal 2009 al 2014 su scala internazionale si è registrato un incremento del 33% degli incassi per le sale. Un dato che si spiega anche con la ascesa di paesi quali il Brasile, la Russia e la Cina che sono, paradossalmente, sempre secondo la Mpaa, alcuni degli stati in cui la pirateria digitale è più forte. 

Insomma le sale cinematografiche non sono mai state così in salute. E la fascia che va di più al cinema è proprio quella compresa tra i 12 e i 39 anni, quelli che teoricamente sanno meglio di chiunque altro come scaricare un film e hanno ogni tipo di supporto (smartphone, tablet, computer, smart tv) a portata di mano. Anche in Italia la situazione, almeno per quanto riguarda il botteghino e l'affluenza del pubblico, smentisce le cassandre. Si passa da un numero di spettatori che si aggira intorno ai 14 milioni nel 2005, quando la pirateria su internet era ancora contenuta, ai circa 22 milioni di spettatori del 2012 (fonte Cinetel). 

L'aspetto più eclatante è che leggendo i dati riportati da alcuni studi indipendenti (quindi non commissionati dalle major) come quello realizzato dallo stato olandese, si scopre che chi scarica illegalmente è un cliente più attivo. Va di più al cinema, compra più dvd o film on demand di chi invece non scarica. Ad analoghe conclusioni arriva la ricerca di Ipsos Allemagne e lo studio fatto dallaFondazione Luigi Einaudi. Anche Riccardo Tozzi, presidente dell'Anica, l'associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive, analizza molto lucidamente questi dati confermando che il problema non è tanto nelle sale cinematografiche, ma nel home video: la fetta della grande torta che ha subito maggiormente l'avvento di internet. 

Effetti paradossali del mercato: la tecnologia che una volta veniva attaccata e portata in tribunale, viene oggi difesa dalla stessa industria. A risentirne, dopo la chiusura del colosso Blockbuster, sono sicuramente le piccole realtà locali, le videoteche. Se le vendite di dvd nel 2012 registravano un calo del 12% a fronte di un fatturato di 420 milioni di euro, il noleggio arrivava a perdere circa il 30%. Resistono in pochi, pochissimi, come Videobuco, nel quartiere San Lorenzo di Roma. Aperto ormai da circa trent'anni, punto di riferimento per universitari e appassionati di cinema, sembra un piccolo atollo nel mare digitale. Ma il mercato audiovisivo è in continuo fermento e le majors stanno finalmente accorgendosi di come anche questa nuova tecnologia possa essere sfruttata.



È ormai dal 2007  che nascono e si affermano realtà quali Hulu, iTunes/Apple tv,Google Play e realtà nostrane come Chili TvCubovision (oggi diventata Timvision). Sono piattaforme che permettono di vedere in streaming, sul proprio smart tv, un catalogo sempre più aggiornato e facilmente consultabile di film di ogni provenienza, tutto in maniera legale. Basta abbonarsi o pagare il singolo film di volta in volta. I prezzi contenuti hanno lasciato, inizialmente, intimoriti le major che a fronte del calo dell'home video non vedevano nel così detto electronic home video, una valida alternativa. Ma i dati in continua crescita (solo rispetto al 2011 si segnala un incremento del 47% del fatturato proveniente da questa fascia di mercato) hanno portato molte case di produzione a ripensare le proprie strategie. Non ultima l'Anica, che ha siglato un accordo con My Movies creando un canale streaming a pagamento (Anicaondemand). 




Su tutti svetta il colosso di Netflix (non ancora disponibile in Italia), una streaming tv americana presente anche in diversi paesi europei che ha registrato nel mese di luglio i 50 milioni di abbonati con un fatturato che si aggira intorno ai 3,5 miliardi di dollari. Insomma ancora una volta la tecnologia inizialmente osteggiata sta offrendo all'industria la possibilità di nuovi e facoltosi incassi. Assumono così dei contorni leggermente sfuocati le leggi che via via negli anni si sono susseguite per contrastare il fenomeno della pirateria. 

Clamoroso è stato il caso della cosiddetta "legge dei tre colpi" francese che prevedeva il blocco a tempo indeterminato dell'accesso ad internet a chiunque fosse stato trovato per ben più di tre volte a scaricare o guardare un qualsiasi file coperto dal diritto d'autore. La norma è stata ritenuta incostituzionale e trasformata in una multa tra i 60 e i 150 euro. Dopo 4 anni, milioni di euro spesi per tenere in vita l'Hadopi (l'ente francese che deve individuare i casi di pirateria e far rispettare la legge), i casi  sanzionati sono stati tre. Non meglio è andata alla Russia di Putin, presente nella così detta black list della Mpaa dei paesi con il più alto tasso di pirateria mondiale. Il capo del Cremlino a marzo 2014 si era abbandonato all'amara constatazione che le misure anti download erano state un totale fallimento e che il sistema di controllo doveva essere profondamente ripensato. 

L'Italia da parte sua rincorre decreti e normative da anni, sfociate nel maggio del 2014 nel tanto agognato decreto Agcom che ha portato l'industria e la stessaFapav a gridare alla fine dell'illegalità. Come potrà controllare chiunque abbia una connessione, i siti di streaming e di sharing "pirati" sono ancora lì. Cineblogcambia dominio di continuo non appena uno dei suoi tanti siti viene oscurato. Realtà come TnT Village continuano a fornire gratuitamente migliaia di film, spesso anche introvabili, a chiunque si colleghi al sito, combattendo quella che viene definita "una battaglia etica" che si rifà né più né meno ai principi della free culture. Il decreto Agcom si segnala, appena entrato in vigore, per aver fatto rimuovere dal sito ufficiale della Regione Marche un video che mostrava le bellezze architettoniche della regione. 



In America intanto vengono sviluppate due realtà che imprimono un'accelerazione inarrestabile alla condivisione di qualsiasi tipo di file. Popcorn Time che viene ribattezzato il Netflix pirata, subito chiuso e poi riaperto e che dà la possibilità di vedere in streaming migliaia di film utilizzando i file torrent, e il sito TvStreamcms che opera probabilmente il passo definitivo in questa strenua battaglia tra il diritto alla condivisione e la necessità che venga riconosciuto a chi produce un ritorno economico. TvStreamcms permette a chiunque ne abbia voglia di aprire il proprio sito di file sharing. Come sostiene il ceo diDreamworks, allora, la partita è ancora lontana dall'essere conclusa. Le case di produzione dovranno sicuramente ripensare i propri modelli distributivi, dare la possibilità di fruire un film sul dispositivo che si preferisce (lo schermo della sala, il televisore o il proprio smartphone) e adeguare i prezzi alle differenti piattaforme. Internet più che uno spazio da combattere si prospetta, così, come l'ennesima frontiera da dover definitivamente conquistare: l'ennesima corsa all'oro su cui piantare la propria bandiera.


Sette europei su 10 vedono film senza pagare
di ALESSANDRO LONGO

ROMA - La pirateria non è un'anomalia di sistema, un cancro da estirpare: è diventata una prassi consolidata, seguita dalla maggior parte degli utenti internet, e rischia di essere persino funzionale allo sviluppo della creatività e dell'industria cinematografica. Emerge questa realtà - che contrasta le tesi dagli alfieri del copyright - se mettiamo assieme una serie di studi fatti negli ultimi anni da diversi istituti di ricerca, università e dalla Commissione europea. 

Cominciamo da quest'ultima: un suo studio di quest'anno (http://bookshop. europa. eu/it/a-profile-of-current-and-future-audiovisual-audience-pbNC0414085) rivela che il 68 per cento degli utenti europei vede film gratis su internet (streaming o download). Non solo: il 50 per cento di loro dice di non pagare i film perché non può permetterselo per tutti quelli che intende vedere. Questa affermazione suggerisce che i film visti gratis non sono davvero una perdita di introiti  per l'industria, visto che quelle persone non potrebbero mai pagarli (semmai, rinuncerebbero a vederli se non potessero farlo gratis). Ne deriva anche che la disponibilità di film gratis aiuta a diffondere la cultura cinematografica tra i ceti meno abbienti, che non avrebbero alternative alla pirateria. Sempre secondo lo studio europeo, infatti, la maggioranza degli utenti che vede gratis i film ha un reddito inferiore ai mille euro al mese e sono tipicamente giovani e con un alto livello di istruzione. E' l'identikit di una generazione che nonostante la laurea è sotto occupata e può soddisfare i propri interessi culturali anche (o solo) grazie alla pirateria.

Ci sono poi studi secondo cui la pirateria fa da volano alla visione legale dei film (al cinema e in dvd), a mo' di veicolo pubblicitario non convenzionale. Il primo che va in questa direzione è stato di Gfk, commissionato dall'industria cinematografica tedesca per certificare la crescita delle vendite nelle sale dopo la chiusura del portale pirata Kino.to. Studio mai pubblicato ufficialmente perché aveva scoperto una verità opposta; ma è finito comunque su internet per vie traverse e quindi ormai è di dominio pubblico (http://www. repubblica. it/tecnologia/2011/07/29/news/pirateria_cinema-19494246/). In seguito, uno studio dell'università del Minnesota ha aggiunto che non è possibile provare un rapporto causa-effetto tra pirateria e calo degli incassi cinematografici (http://papers. ssrn. com/sol3/papers. cfm?abstract_id=1986299).

Più di recente, una ricerca congiunta tra la ISM (International School of Management Campus München) e l'università di Copenhagen ha analizzato l'effetto della chiusura di Megaupload (celeberrimo sito pirata) e ha trovato evidenze interessanti. Ha rilevato l'aumento del business solo per i maggiori film blockbuster e nessun vantaggio per la maggioranza dei film. Per quelli di nicchia, non commerciali, ha scoperto che anzi l'impatto è stato negativo, perché secondo i ricercatori la pirateria fa in questo caso da cassa di risonanza per le opere di qualità poco pubblicizzate, "diffondendo l'informazione dai consumatori che hanno poco interesse a pagare a quelli che invece ne hanno molto", si legge nella ricerca. Inoltre, sempre nell'ottica del rapporto tra pirateria e diffusione della cultura, uno studio dell'Authority inglese Ofcom (http://stakeholders. ofcom. org. uk/market-data-research/other/research-publications/user-generated-content/) dice che una normativa copyright troppo rigida soffoca le nuove forme di creatività su internet, che spesso usano e reinventano opere protette da diritto d'autore. 

Forse anche tra l'industria cinematografica sta cominciando ad attecchire l'idea- fino a ieri eretica- che la pirateria non sia una pratica del tutto avulsa dal normale business: nell'apprendere che il suo Il Trono di Spade è stato la serie tv più piratata dell'anno, il Ceo di Time Warner Jeff Bewkes, gran guru della televisione americana, l'ha definita "un'ottima notizia", "meglio che vincere un Emmy", arrivando ad aggiungere che la pirateria ha fatto da "passa parola"; ha concordato con lui il registra della serie, David Petrarca.

Qualcuno che potrebbe avere buoni motivi per attaccare la pirateria è anche Netflix, la principale piattaforma online di film (legali) al mondo. La pirateria gioca infatti sullo stesso terreno di Netflix (internet), ma è gratis e quindi potrebbe essere il peggiore avversario sleale che si possa immaginare per una piattaforma legale. Ebbene, il chief technology officer di Netflix Jon Nicolini ha detto che la pirateria è la minaccia numero uno per il business; ma invece di invocare leggi draconiane ha suggerito che per combatterla bisogna sforzarsi di migliorare l'offerta legale di film. "Il modo migliore di combattere la pirateria non è sul piano legale o giudiziario, ma dando buone opzioni legali, ai consumatori". Ragguardevole posizione da parte di una piattaforma che è nota per la sua ampia offerta di film e serie tv, ben più generosa di quella disponibile su analoghi servizi in Italia. Dove, per altro, Netflix ha appena dichiarato che arriverà solo nel prossimo anno, più tardi rispetto ad altri Paesi europei, in primo luogo perché da noi sono poco diffuse le connessioni internet veloci. Siamo il Paese con la peggiore copertura in fibra ottica e le connessioni più lente (in media, tra gli utenti), secondo la Commissione europea. 

Insomma, tutti questi elementi suggeriscono un rapporto complesso e non scontato tra il cinema e la pirateria. E che le soluzioni possono essere trovate in azioni diverse dalla guerra ai pirati. "Fa fede l'esempio del mercato musicale, dove grazie alla maturità dell'offerta legale e dello streaming, la pirateria si è ridotta a una nicchia. E dove il mercato è tornato a crescere, dopo dieci anni di crisi, anche in Italia, come riportano i dati di Fimi", dice Fulvio Sarzana, avvocato esperto di diritto d'autore e storico promotore di campagne contro la normativa copyright dell'Agcom (Autorità garante delle comunicazioni), poi in effetti approvata e in vigore dal 31 marzo (http://www. repubblica. it/tecnologia/2013/12/12/news/regolamento_copyright_scheda-73437061/). "Di conseguenza si può prevedere che anche per il cinema la pirateria diverrà sempre più un fenomeno di nicchia. E questo, senza adottare sistemi maldestri e invasivi come quelli della delibera Agcom", conclude Sarzana.


http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/08/18/news/pirateria_download-94027777/?ref=HREC1-6

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