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Tiahuanaco, la Città degli Dei

Tiahuanaco possiede una leggenda che la vuole edificata, in una sola notte da un misteriosa razza di giganti; mentre i locali narrano di Dèi scesi da cielo “sulle ali d’immensi condor”, quando i loro antenati volavano su grandi “piatti d’oro” mossi da vibrazioni sonore.

Tiahuanaco è uno di quei luoghi di cui non conosciamo l’origine ma che possono rappresentare un collegamento con i continenti scomparsi. Esteso su 450.000 mq presenta le tracce di cinque città sovrapposte, più volte distrutte da terremoti, situato a trenta chilometri dalle sponde del lago d’acqua dolce più grande del mondo: il Titicaca, lungo 222 chilometri, largo 112, a 3.660 metri sul livello del mare, le cui sponde sono circondate da leggende surreali. Una striscia bianca formata dai depositi calcarei di alghe in mostra sulle rocce circostanti e la presenza di creature marine nelle sue acque – fra cui i cavallucci – testimoniano la sua antica appartenenza al mare.
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Dell’antico sito restano le ciclopiche rovine di una città portuale: cinque banchine, moli e un canale diretto verso l’entroterra. Nel 1967, per verificare la veridicità dei racconti dei pescatori del Titicaca, secondo i quali nei periodi di grande siccità era possibile toccare i tetti dei “palazzi sommersi” sotto le acque del lago, furono organizzate alcune spedizioni subacquee. Sul fondo, immerse nella melma, i sub videro poderose muraglie. Costruzioni sommerse sono state ritrovate anche nelle profondità del Titicaca. Una spedizione archeologica della Akakor Geographical Exploring, composta da italiani, brasiliani, boliviani è impegnata da anni ad esplorare il fondo del lago situato a quattromila metri di altezza e con una superficie di ben 8700 Km. Nel corso dei lavori sono stati rinvenuti a diverse profondità strade lastricate, muri, pavimentazioni, vasi di ceramica, strutture, un tempio, la testa di un idolo, un camminamento che collega al resto del continente l’Isola del Sole, circa sette, ottomila anni fa al disopra del livello delle acque, con i suoi tre chilometri di lunghezza e oggi a settantacinque metri sotto la superficie. È stato recuperato, ad oltre ottanta metri, anche un idolo d’oro di trentacinque chili (valore materiale seicentomila Euro, quello reale ovviamente è inestimabile).
Il gruppo ha infine accertato la veridicità di un racconto orale, tramandato nei secoli, nel quale si narra di una grotta dove si praticavano sacrifici umani che prevedevano l’uccisione di bambini, fino a duecento al giorno; è stata trovata la grotta e al suo interno le ossa di quei fanciulli.
Il Titicaca raggiunge la massima profondità a 287 metri, il robot si è spinto fino a centocinquanta metri; gli uomini, due italiani, Lorenzo Lapis e Emmanuele Gaddi, hanno stabilito il record di immersione in altitudine raggiungendo la profondità di settanta metri.
Da sottolineare la grande difficoltà di simili immersioni, in particolare in un lago che in caso di maltempo diviene più pericoloso di un oceano in tempesta.
Sotto costa le tracce di dighe, strade lastricate; blocchi squadrati combacianti fra di loro con estrema precisione che formavano una trentina di massicciate parallele, unite da una costruzione a forma di mezzaluna. Un grande porto con i suoi moli, dove potevano attraccare centinaia di navi. Una città costruita con pietre talmente grandi e pesanti dalle cento alle duecento tonnellate (alcune più di 400 tonn.), da destituire di fondamento ogni supposizione inerente il loro taglio, trasporto, nonché collocazione, visto che le cave più vicine distano ben sessanta chilometri.
Nella zona è stato anche esplorato il condotto che porta alla piramide Akapana. Un tunnel simile a quelli della piramide egizia, che consente il passaggio di una persona a carponi – quindi di circa un metro – con pareti ad angolo retto, perfettamente levigate dal cui soffitto pendono numerose stalattiti, a conferma del passaggio di acqua. L’Akapana, della quale rimane un tumulo di terra con un cratere al centro, frutto del lavoro dei cercatori di tesori. Originariamente a diciotto metri d’altezza, si trovava un pozzo centrale a forma di croce. Secondo gli archeologi il pozzo alimentava una serie di canali interni, attraverso i quali l’acqua raggiungeva ogni livello della piramide.
Un complesso sistema di tubazioni faceva sì che l’acqua scendesse a cascata lungo tutti i gradini della costruzione.
Nel suo interno si trova un’estesa rete di condotti in pietra che Alan Kotala descrive come “un sofisticato sistema di canali collegati fra loro sia in superficie, sia nei sotterranei, progettati per raccogliere l’acqua piovana”. Acqua che veniva convogliata nei locali sotterranei, passava sulle terrazze utilizzando canali esterni, rientrava al suo interno e attraverso un tunnel posto a tre metri sottoterra era immessa nel Rio Tiahanaco e nel Titicaca.
I reperti rinvenuti alimentano insoluti misteri. Nel 1920, Julio Tello scoprì dei vasi con raffigurati lama a cinque dita, vissuti, per la scienza ufficiale, in una preistoria molto remota. Sulla Porta del Sole, alta tre metri larga 3,8, sono raffigurati un toxodonte e un proboscidato che ricorda il “Cuvieronius”, estinti entrambi 12.000 anni fa. La porta è un monolito di un unico blocco ritenuto da Posnansky e da Alexandr Kasanzev, la rappresentazione di un calendario ove sono segnati i solstizi.
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Porta del Sole
“Il nome Puma Punku o ‘porta del leone’ venne dato al tempo coloniale quando fu trovata una scultura in pietra di un leone. Oggi la piramide Puma Punku appare come una piccola collina piatta e consiste di tre piattaforme sovrapposte le cui basi sono fatte di blocchi squadrati di rossa arenaria. In cima alla piramide una depressione quadrangolare suggerisce chiaramente il possibile sito di un tempio. Sul lato esterno della sommità c’era un edificio di dimensioni colossali, indubbiamente uno dei maggiori dell’architettura di Tiahuanaco. Uno studio accurato di Puma Punku mostra un eccellente esempio di complesso architettonico di magistrale progettazione. Il tempio consisteva di quattro immense piattaforme fatte di massicci lastroni di arenaria, alcuni del peso di centotrenta tonnellate, tenuti insieme con una speciale malta e morsetti metallici. Sono evidenti le tecnologie usate per assemblare le grandi pietre attraverso la posa di morsetti o ganasce di rame, usati come rinforzo nel punto in cui i blocchi si accostavano. È stato appurato che questi morsetti furono realizzati gettando metallo fuso nei solchi, negli incavi scavati allo scopo nei blocchi di pietra adiacenti”.
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È stato dichiarato che “la cultura di Tiahuanaco è indubbiamente una delle più importanti nella regione andina e la sua influenza è evidente in altri gruppi culturali posteriori. Fiorirono architettura, produzioni artistiche in ceramica, sculture e metalli preziosi. L’alto grado di perfezione raggiunto nella scienza metallurgica permise di forgiare e amalgamare metalli. Il rame, metallo principale, era usato comunemente allo stato nativo. All’inizio limitatamente alla manifattura personale e negli oggetti domestici, più tardi per ottenere il bronzo. Dato che per ricavare quest’ultimo occorre seguire una procedura complicata si dimostra l’alto grado della metallurgia raggiunto dalla cultura di Tiahuanaco”.
Nel Museo di Tiahuanaco si trovano esposti molti oggetti rinvenuti fra le rovine del sito archeologico tra cui molti morsetti metallici di varie misure, costituiti da una lega formata dalla fusione di rame, ferro, silice e nickel.
Quest’ultimo non si trova in Bolivia e per ottenerlo occorre un forno ad elevata temperatura. La cultura pre-ispanica conosceva come fondere il rame e più tardi imparò a mescolarlo con altri metalli. Questo sviluppo tecnologico rese possibile l’invenzione di attrezzi di metallo quali scalpelli, stampi, punzoni, seghe, asce, ecc. permettendo di poter lavorare su pietre e altri materiali e raggiungendo un grado sofisticato di perfezione.
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Scavi archeologici hanno portato alla luce vestigia di attrezzi fatti di vari tipi di metallo usati per lavorare le più dure pietre e legni. Sono stati trovati anche molti aghi fini e aguzzi, usati come strumenti capaci di perforare tanto materiali duri, che eseguire delicati e rifiniti lavori. Altri attrezzi fatti di metallo o leghe erano le seghe di rame usate in congiunzione con varie sostanze abrasive per lavorare pietre e altri duri materiali.
A Ollantaytambo, in Perù, è stata trovata una pietra che appare segata o con uno strumento di metallo, o con una sorta di corda abrasiva.
L’utilità degli impianti costruiti da coloro che hanno eretto l’Acapana appaiono oltre le esigenze di quel popolo; inoltre il taglio e le giunzioni delle pietre testimoniano, attraverso la tecnica usata, che non possono essere stati gli abitanti di Tiahuanaco a costruirli, molto più probabile che li abbiamo ereditati da una cultura a noi sconosciuta. Gli impianti hanno cessato di funzionare quando gli Inca avevano raggiunto il punto massimo della loro civiltà, quindi non erano a conoscenza del loro uso specifico. Sono stati rintracciati resti umani e di animali sepolti in punti chiave della struttura che ne hanno impedito il funzionamento.
Peter Kolosimo accennò, forse leggendo i resoconti di Homet, ad un passaggio sotterraneo ostruito dalle rovine che conduceva ad una camera sotterranea. Oggi, l’archeologo Osvaldo Rivera, dell’Istituto Boliviano di Archeologia, afferma di essere vicino all’entrata della stanza sotterranea, che sarebbe indicata sotto la figura di Viracocha scolpita sulla “Porta del Sole”.
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la figura di Viracocha scolpita sulla “Porta del Sole”
La figura del dio poggia su una piramide a gradini al cui interno si vede, in profondità, la raffigurazione di una stanza accessibile attraverso ben otto corridoi. Secondo Graham Hancock la figura sembra l’icona di un computer. Forse non è molto in errore. L’antica lingua Aymara possiede una struttura talmente semplice da poter essere tradotta in linguaggio informatico. Coincidenze?
Rapido il collegamento con Giza. Entrambi i siti risalgono a dodicimila anni fa e si ergono su una serie di camere sotterranee ove sembra sia custodito il messaggio di un’antica civiltà. Le rovine sparse disordinatamente di Tiahuanaco, come se un violento terremoto le avesse scomposte, non sono sufficienti a stabilire verso quali stelle erano orientate; ma, secondo Hancock, dodicimila anni fa, contrapposta alla costellazione del Leone visibile a Giza, vi era quella dell’Acquario. Questa la si potrebbe ritrovare nei motivi acquatici del Kalasasaya, nei canali che portavano acqua alla piramide di Akapana. Forse proprio tale costruzione era la rappresentazione della costellazione in Terra.
Posnansky notò che i due punti del recinto che indicano i solstizi d’inverno e d’estate furono segnati quando i tropici si trovavano a 23°8’48” dall’equatore. Come scritto in precedenza la Terra nel ciclo di 41.000 anni oscilla, per cui il Kalasasaya risalirebbe al 15.000 a.C. Al centro di esso tre steli risultano allineate come le stelle della cintura di Orione e di conseguenza come le piramidi di Giza. Coincidenza? Infine, gli oggetti rinvenuti fra le rovine destano molte perplessità: bicchieri, tazze, cucchiai, piatti d’oro. Solo alla fine del 1.500 compaiono in Europa piatti e posate. Quale tipo di civiltà ne faceva uso a Tiahuanaco? E quando?
Di Mauro Paoletti

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