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Clima, è l'anno della svolta?



FOTOGALLERIA Il riscaldamento globale è la minaccia più grave per il nostro pianeta. Ma qualche ragione di ottimismo c'è. Ecco perché abbiamo dedicato il numero di novembre alla sfida sul clima



Acque di fusione sgorgano dalla calotta di ghiaccio dell'isola di Nordaustlandet, nell'arcipelago delle Svalbard, Norvegia. L'Artide si scalda più rapidamente del resto del pianeta. Al ritmo attuale il ghiaccio estivo potrebbe sparire dalla regione entro il secolo.
Fotografia di Paul Nicklen

Potrebbe essere l’anno della svolta. Così pensa Laurence Tubiana. È una donna di 63 anni, minuta, elegante, dai capelli bianchi. Nel corso di una conferenza stampa in un rumoroso ristorante vicino al Campidoglio, a Washington, si è scusata perché non riusciva ad alzare il tono di voce. Eppure è l'ambasciatrice francese all'Onu per i negoziati sul cambiamento climatico, ed è incaricata di coordinare un progetto di proporzioni immense e di grande complessità.

Da un anno e mezzo Tubiana viaggia per incontrare i rappresentanti di 195 paesi, per cercare di garantire il successo della Conferenza internazionale sul clima che avrà inizio a dicembre a Parigi, e far sì che questa rappresenti un punto di svolta negli sforzi per contenere il cambiamento climatico. «L'idea di un punto di svolta è importantissima», dice.

Ci sono almeno 20 ragioni per temerne il fallimento. Dal 1992, quando le nazioni del mondo si sono accordate al summit di Rio de Janeiro firmando l'Unfccc, la convenzione quadro sui cambiamenti climatici, per evitare "pericolose interferenze antropiche con il sistema climatico", i loro rappresentanti si sono incontrati 20 volte senza riuscire a spostare di un millimetro i livelli delle emissioni. Nel frattempo l'uomo ha rilasciato in atmosfera una quantità di anidride carbonica quasi equivalente a quella emessa in tutto il secolo precedente. Lo scorso anno e lo scorso decennio sono stati i più caldi da quando sono iniziate le registrazioni delle temperature. Oggi le ondate di calore da Guinness dei primati sono cinque volte più probabili che in passato. L'anno scorso gli scienziati hanno riferito che gran parte della calotta glaciale dell'Antartide occidentale è destinata al collasso: ciò implica che nei secoli a venire il livello dei mari salirà di 1,2 metri e forse più.



Da un'altezza di circa 2.300 metri, il reticolo notturno di New York somiglia più a un circuito stampato che a una città. Le sfumature blu-viola sono dovute al luccichio delle lampade a led, che illuminano Times Square e altre parti di Midtown Manhattan.
Fotografia di Vincent Laforet

Stiamo già ridisegnando la mappa del pianeta, specialmente quella delle zone in cui animali, piante ed esseri umani possono vivere. Nell'aria però c'è ancora qualche traccia di speranza. Cina e Stati Uniti, i due paesi che emettono più carbonio, hanno annunciato un accordo per ridurre le emissioni. Sei compagnie petrolifere europee si dichiarano a favore di una carbon tax. Un grande fondo pensionistico norvegese ha promesso di sospendere gli investimenti nel carbone. E il Papa ha messo la sua autorevolezza spirituale al servizio del problema.

Le ragioni che inducono a sperare vanno al di là di promesse o dichiarazioni. Nel 2014 le emissioni globali di anidride carbonica derivanti dalla combustione di combustibili fossili non sono aumentate, nonostante l'economia globale fosse in crescita. Ci vorranno anni per sapere se ciò rappresenti un'effettiva tendenza. Le emissioni si sono mantenute costanti anche perché la Cina, per la prima volta in questo secolo, ha bruciato meno carbone dell'anno precedente aumentando, come molti altri paesi, la produzione di energia rinnovabile (eolica, solare e idroelettrica).

Perfino l'Arabia Saudita è ottimista sull'energia solare. «Il mondo è a una svolta», dice Hans-Josef Fell, coautore di una legge che ha stimolato il boom delle energie rinnovabili in Germania. Di svolte epocali ne abbiamo già viste. Rispetto a 50 anni fa, nel mondo, si vive in media vent'anni di più, si attraversano oceani in un giorno, si comunica all'istante globalmente al costo di pochi centesimi e si trasportano intere biblioteche nel palmo di una mano. I combustibili fossili hanno contribuito a rendere tutto ciò possibile, ma entro la seconda metà del XXI secolo, per scongiurare una catastrofe climatica, dovremo farne a meno.



Il fumo degli alberi in fiamme oscura la foresta pluviale nel Mato Grosso, in Brasile. Negli ultimi decenni quasi un quarto della foresta è stato abbattuto per far posto all'agricoltura, liberando nell'atmosfera milioni di tonnellate di carbonio fissate negli alberi.
Fotografia di George Steinmetz

Chi ritiene che non possiamo portare a termine questa rivoluzione non riconosce quanto abbiamo già cambiato il mondo. Chi pensa che sceglieremo di non farlo, o di non farlo abbastanza in fretta, potrebbe avere ragione. Ci siamo imbarcati in un'avventura senza precedenti, di cui non conosciamo gli esiti. Siamo sopravvissuti ad altre trasformazioni globali, ma per la prima volta stiamo cercando di manovrarne una per assicurare un futuro più promettente al pianeta. Lo scrittore E.L. Doctorow descrisse così il suo modo di scrivere romanzi: "È come guidare di notte: non riesci a vedere più in là della luce dei fari, ma puoi arrivare a destinazione".

Non è necessario riuscire a vedere tutta la strada davanti a noi fino al lieto fine, ma credere che sia possibile raggiungerlo. È l'obiettivo di coloro che parteciperanno alla conferenza di Parigi. Non credono più che si possa stilare un trattato che vincoli ciascun paese a una quota di anidride carbonica, per ridurre le emissioni. Ma cercano il modo di «inviare un segnale forte al mondo degli affari», dice Tubiana, per «creare una profezia che si auto-avveri sulla possibilità di realizzare un'economia a bassa emissione di anidride carbonica». Quando ripenseremo al 2015 da un futuro più caldo, sapremo se è proprio questo l'anno in cui la profezia ha incominciato ad avverarsi.



Questa è la sfida
Dalla fine dell'Ottocento la Terra si è riscaldata in media di 0,85 °C. Gran parte del riscaldamento si è verificato a partire dal 1960. La scala di colori rivela la variazione regionale non percepibile dalla sola media globale: alcune regioni, perlopiù vicine all'Antartide, si sono raffreddate dal 1960 in poi.

Alcune parti dell'Artide si sono riscaldate di ben 9 °C. La variabilità climatica naturale spiega perché il riscaldamento si è verificato in modo disuguale e bizzarro, ma non spiega la tendenza al riscaldamento in sé, che ha sopraffatto l'effetto di raffreddamento indotto delle ceneri emesse dai vulcani.

Negli ultimi 50 anni il riscaldamento ha coinciso con un aumento nelle emissioni di CO2. Trovare un modo per fermarle e con esse il cambiamento climatico è la sfida che ci attende per i prossimi 50 anni.
Mappa: National Geographic
Fonte: Steven Mosher e Robert Rohde, Berkeley Earth

http://www.nationalgeographic.it/

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